La passeggiata.

 

        Rebbe Chaim passeggiava con me, in una sera freddissima di novembre, non lontano dal ghetto, a Venezia. Si discuteva sulla somiglianza del primo Adamo con Dio, prima del caos primordiale da cui venne la Creazione del mondo.

   Ma Rebbe Chaim non sembrava avere una gran voglia di ascoltarmi. Io insistevo: «...il suo nome, - Adam: Alef, Dalet, Mem - infatti, è come una dhelet, una porta dell'Uno verso il Messia; proprio come Giuda: Yehuda, cioè Yod, He, Vav, Dalet, He. Se lo osservi, vedrai che è il Nome impronunziabile del Santo: Yod, He, Vav, He, dentro al quale è innestata la Dalet: la porta!» 

Rebbe faceva svolazzare lo sguardo dappertutto ma non su di me. «Claudio caro, quante cose vuoi vedere, quante cose vuoi sapere... dimmi, piuttosto: cosa fa tutta quella gente senza cappotto, col freddo che fa?»

Davanti a noi diverse persone in giacca e cravatta, tutti senza cappotti e battendo piedi e denti per il freddo, camminando veloci si dirigevano dentro e fuori una calle male illuminata. Era il passaggio che portava al Casinò d'inverno, e quasi tutta la gente che andava a giocare ricchezze e illusioni senza avere il privilegio di un motoscafo privato preferiva risparmiare i soldi del costoso guardaroba all'ingresso, in cui c'è l'obbligo di depositare a pagamento cappotti, cappelli e sciarpe per raggiungere i tavoli da gioco dov'è obbligo di giacca e cravatta.

«Lascia perdere, Rebbe... stupidaggini. Dammi retta, pensa all'abito che porti, alla Tradizione che rappresenti... La porta, invece...»

«No no, altro che stupidaggini! Quelli girano al freddo senza cappotto e battono i denti! Ma dove vanno?»

«Rebbe... vanno a giocare al Casinò, e vogliono potersi giocare anche i soldi che altrimenti spenderebbero a depositare i cappotti nel loro costoso guardaroba...»

«Al freddo senza cappotto per andare al Casinò?... Che interessante! Non ne ho mai visto uno dall'interno... andiamo!» E scivolò verso la calle.

«Rebbe!... Ti sembra il caso?», cercai di fermarlo.

«Seguimi!», fu la risposta, perentoria.

Era il giorno dell'apertura del Casinò d'inverno (d'estate è al Lido), e una ressa pigiata di gente elegantissima si accalcava all'ingresso monumentale dell'antico, severo palazzo dei Vendramin-Calergi, in un forte olezzo di profumi e aromi di tabacco e alcolici. Chaim, col suo cappellone chassidico, arrivava più o meno all'altezza delle spalle di quella folla formicolante, e lo vidi scomparire là in mezzo, inghiottito. Lo dovevo seguire nell'imbarazzo di non avere giacca e cravatta su di me, nel sentirmi disperatamente fuori luogo in quegli ambienti, nel trovare assurdo quel suo infilarsi là in mezzo. Ma a un tratto si verificò un miracolo: tutti cominciarono a zittirsi e fargli spazio... Rebbe Chaim sorrideva al lato sinistro e poi all'altro di quel passaggio che si stava formando proprio di fronte a noi, fra corpi che si ritraevano e stringevano nel baccano del cortile e della prima sala a pianterreno. Li attraversavamo veloci, come Mosè che attraversa le acque del Mar Rosso, mentre io smettevo di provare vergona, di arrossire... «rosso... adòm,» pensai. «Alef, Dalet, Mem... come Adam...»

La scala che portava alle sale da gioco era presidiata da due o tre guardiani in livrea; Rebbe li salutava inchinandosi, e loro facevano altrettanto, mentre lo lasciavano salire. Io lo seguivo passo a passo stringendomi nella sua scia azzurra, scivolando verso le luci e i suoni delle sale del piano superiore. Chaim le attraversò tutte, una ad una, finché due signori molto eleganti ci vennero incontro, e con fare gentile ci chiesero se avremmo gradito bere qualcosa.

Rebbe rispose che avrebbe volentieri gradito un buon caffé caldo, possibilmente molto lungo, e non «come lo fate voi in Italia, perché altrimenti ne pagherei le conseguenze col male al ventre...». Sì, disse proprio: «col male al ventre...». Io preferii farne a meno. Seduti infine in un grazioso salottino appartato, appena dietro il bar, i due signori si presentarono come il direttore del Casinò e il suo segretario. Dissero di essere entrambi di origine ebraica, sebbene, specificarono: «non osservanti... ma a conoscenza di cosa è cosher e cosa non lo è...».

«In ogni caso, tutti gli esseri saranno ivrì, ebrei, nel tempo del Messia...», commentò Chaim. Dopodiché con una certa serietà che si sarebbe quasi detta "professionale" cominciò a fare mille domande sul com'è e cos'è un Casinò, quanti soldi in media si potevano vincere o perdere, qual era, all'incirca, la frequenza delle perdite e delle vincite. Quei due uomini eleganti e gentili rispondevano a tutto diligentemente, come scolaretti al Maestro, e sembravano felici.

Uscimmo senza che l'incanto si interrompesse mai, fino al silenzio e alla penombra delle calli di Venezia nella notte di fine novembre.

«...Rebbe... perché?»

«Claudio, amico mio sempre più curioso, hai visto cosa succede vestendo un abito... e tu, dunque, di cosa stavi parlando?... di una porta?...»


C.R