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Ils sont coupables.

Torno con l'immaginazione su quella piattaforma rotonda, davanti all'altare, addetto al rito di spezzare dei pani-corpo di Dio per il popolo dei colpevoli, dei "coupables", e mi accorgo che in francese quella parola si avvicina in modo impressionante all'idea di tagliare, couper, e che quella parola li dice già recisi dal mondo, divisi ineluttabilmente in un prima e in un durante nel quale è compressa e imprigionata l'idea stessa di un dopo.
Divido i pani, e ricordo che panis ha la stessa radice di pascere e di pastore: 'pas', 'nutrire'. Io, Pastore di Dio, pascolo il mio gregge, ovvero nutro le mie pecore, i miei peccatori chiusi nelle loro celle. Io nutro le loro anime con un pane che essi rigettano; presto quella piattaforma sarà abbandonata.
«È monumento storico; non si usa più da anni», mi dirà una guardia, con aria indifferente; «Dio è morto», ci aveva detto Nietzsche, e il mondo lo ripete, in un balletto indifferente.
Ma qual è il Dio che è morto?
A tutti gli effetti, è proprio quello che spezzava e offriva i pani transustanziati nel suo corpo, quello la cui morte in croce rappresentava la speranza di resurrezione della carne, attraverso la preservazione del racconto-mito e dell'atto retorico-rito nel teatro di una cristianità vincente sui popoli del mondo. Quando il mondo si è riempito di arabi, magrebini, africani, in cerca di donne belle, magre e bionde, di automobili costose, di vestiti luccicanti di voluttà, i penitenziari si sono riempiti di trafficanti di droga, di rapinatori senza scrupoli, di violentatori di donne o bambini, che nell'immagine di Cristo riconoscono solo il rappresentante del mondo che li ha traditi: tragicamente ridicolo, così appeso a quella croce appena sporcata della vernice rossa che imita il sangue.
L'assassino conosce bene lo "spessore", la densità del sangue umano: come si aggruma o come fluisce, il suo odore, la sua vischiosità. Lo conosce meglio del chirurgo, dello scienziato, persino del soldato: ci ha pensato, meditato su a lungo; si è appropriato di ogni aspetto, sfumatura, dettaglio di quell'elemento vitale: non lo freghi con un po' di colore dipinto da artisti mediocri.
Lui ha fatto della conoscenza del sangue la sua icona sacra, la sua para-religione, la centralità del suo essere. Non costruisce certo da questa sua "intelligenza" un'etica di qualche tipo, né riesce a vedere una dimensione della vita più ampia del suo presente e dei suoi bisogni e desideri immediati, ma la sua forza risiede nel percepire che il sangue è ciò che rappresenta il prima e il dopo, il dentro e il fuori, nel movimento orizzontale e univoco del suo destino vitale.
In quella dimensione così terrestre, colui che ha ucciso è un iniziato, un "essere superiore"; in un certo modo –anche se mostruoso e deviante– egli è sacro.
Heidegger l'aveva sottolineato con forza: è morto il Dio cristiano; è la distruzione di una metafisica dei mondi ancestrali e, nello stesso tempo, la distruzione della nozione hegeliana del concetto e della Ragione nella Storia.
Ma è proprio la Storia ad essere morta, uccisa dalle informazioni; esse hanno sostituito le rivelazioni della coscienza con l'accumulo di dati storici, e la saturazione dell'intelligenza non ha tardato a manifestarsi; non c'è più posto nella memoria: tutto il sistema entra in crisi. Ciò che nel passato era una linearità storica, anche se diabolicamente ripetitiva, oggi è movimento caotico –forse prevedibile, ma comunque indomabile– di fenomeni sociali.
Il dannato, il reietto, giudicato dalla società dei giudicanti, rifiuta la verità storica, scagliando con violenta fierezza il pane della pietà sul simulacro del fallimento della giustizia divina.

C.R.

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