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Diario 
(riflessioni quasi culturali)


 14/4/84 

Il Dio di Laplace è partito creando delle particelle e delle leggi per la loro interazione. Ha pensato che conoscendo le condizioni di moto e le leggi di interazione all’inizio avrebbe saputo dove si trovava ogni particella ad un dato istante.

Il tempo non ha significato reale perché si può eliminare [da x(t) e v(t) si ricava v = f(x)]. Le traiettorie nello spazio delle fasi (x e v) sono tutte  contenute nelle equazioni del moto. Può essere difficile descriverle se le particelle sono molte, ma non impossibile.

Ma se pensava così, Dio si sbagliava. Infatti, al crescere della complessità emergono epifenomeni (leggi del 2° ordine, dice A. Eddington), che non rappresentano solo la necessità di usare la statistica per descrivere situazioni troppo complesse (Boltzmann, Einstein). In realtà l’irreversibilità diventa un’invenzione indipendente. Si esce dalle equazioni iniziali. 

Dio (o l’uomo) si potrebbe forse accontentare di una descrizione fenomenologia (macroscopica) che solo per casi particolari può essere ricondotta (descrizione di Liouville) al caso elementare (descrizione di Hamilton). Ma anche la descrizione fenomenologia è limitata, è impotente, davanti alle biforcazioni. Esiste allora un punto di vista superiore che permetta una descrizione del futuro sistema che ha attraversato biforcazioni? (Mi sembra che il quesito sia stato posto anche da uno che la sa lunga come Prigogine).

L’uomo ha creato la matematica, la geometria, dei sistemi logici di cui ha definito assiomi, regole di costruzione di proposizioni. Ha pensato che ogni teorema possa venire da lui costruito passo per passo, anche se via via più difficilmente. Ha anche pensato che, data una certa proposizione, può stabilire se essa sia oppure no un teorema del sistema. Invece si è scoperto (Gödel) che ciò non è sempre possibile. Vi sono proposizioni che sono indecidibili (non sono né teoremi né non-teoremi). Bisogna passare ad un livello superiore (che risolva le proposizioni indecidibili ponendoli come postulati), ad una teoria più ampia (?) per risolvere il problema. Ma anche questa teoria più ampia ha i suoi limiti, le sue proposizioni indecidibili. E così via.

(Non ho capito se anche in questo caso la scoperta delle proposizioni indecidibili in un dato sistema nasca dalla sua crescente complessità, man mano che si esplicitano i teoremi).

Nello studiare la natura fisica l’uomo ha scoperto le leggi fondamentali ed ha pensato che con queste egli può tutto ricostruire (approccio riduzionista). In realtà le difficoltà crescenti con la complessità del sistema in esame, ha indotto all’estremo atteggiamento opposto (olismo). La fisica sembra (con l’introduzione della irreversibilità) accettare gli epifenomeni.

L’uomo ha studiato il pensiero, le sue idee, senza riuscire a trovare le chiavi atomiche alla base. Grazie alle nuove scoperte sa ora a grandi linee (e lo saprà meglio nel futuro) come funzionano i componenti elementari del cervello (i neuroni). Lo studio dell’intelligenza artificiale tende anche qui a chiarire che esistono epifenomeni (le idee) che non sono riconducibili alle “leggi elementari”.

La natura ha realizzato, tramite il DNA, un metodo per fornire tutte le informazioni per costruire un individuo. Anche qui tuttavia degli epifenomeni portano alla realizzazione specie nuove, non spiegabili col DNA iniziale.

L’uomo crea degli oggetti. Sa tutto di loro. Li può riprodurre. Essi sono inanimati.  Per loro non esiste il tempo interno proprio (vitale). Il tempo è esterno e porta solo al degradamento (entropico) dell’oggetto. Sarà sempre così?

Sembrerebbe strano che l’uomo sia il solo “padreterno” che rimane padrone di quello che fa, che non genera possibilità di epifenomeni.

In realtà ciò può essere stato così fino ad ora perché la densità del prodotto è bassa, oppure perché il prodotto è poco complesso. In realtà vediamo che, man mano che i prodotti crescono in numero, si creano degli epifenomeni sulla società stessa che li ha creati.

Inoltre, con i calcolatori siamo forse al limite di farli intrinsecamente così complessi che il comportamento di ognuno di loro non è detto che sia ripetibile, reversibile, predicibile. La scatola iniziale (come le equazioni iniziali del padreterno) può ad un certo punto non essere più in grado di spiegare se stessa. 


15/4/84   
 

L’uomo, nel realizzare dei prodotti, ha messo assieme oggetti esterni e concetti. Con una trasformazione isomorfa ha rappresentato gli oggetti nella sua mente e ha operato mentalmente su essi. Alla fine ha ritrasformato l’operazione mentale in una operazione fisica.

Via via, nel tempo, è aumentata la parte svolta per isomorfismo nella mente dell’uomo.

Vi è ora un prodotto, il software che è o può avvenire al 100% nella mente, perché opera solo su informazioni e non su forze fisiche.

E’ interessante studiare a fondo questo caso (programma Esprit?) per vedere come si organizza l’intero processo - specifiche, creatività, produzione, testing, manutenzione - perché può servire anche per i prodotti fisici.

E’ pensabile che nel futuro anche per i prodotti fisici, grazie alla simulazione, il 100% venga fatto in sede mentale e che l’uomo non operi più con le mani per ottenere il prodotto, ma solo fornisca le informazioni necessarie?

In ogni caso il progettista diventa sempre più un softwarista.

Vale il teorema di Gödel per il software? Se l’attività tutta concettuale del software può rientrare nello schema di una “teoria” è possibile allora predire il comportamento del “prodotto” in tutti i suoi modi di uso? Per un prodotto fisico si sa che concettualmente si possono provare solo alcuni casi, data la difficoltà di simulare modi reali d’uso. Ma per un software in linea di principio si può pensare di prevedere ogni possibile situazione e predire come si comporterà i sistema in detta condizione.

Formulando alla maniera di Gödel si dovrebbe dire: dato un certo “output”, si può dire se questo “output” è o no predicibile / decidibile (è un teorema) del software? 


18/4/84

Perché il mio interesse al design e ai designers?

L’uomo sa elaborare materiali, informazioni (conoscenza e idee) e forma. Ha iniziato ad elaborarli uno alla volta:

Dell’elaborazione dei materiali ne ha fatto un fine utilitaristico pratico (prodotti per il miglioramento delle condizioni di vita). Dell’elaborazione delle forme ne ha ricavato prodotti per fini edonistici (miglioramento del gusto estetico): le opere d’arte. Dell’elaborazione delle informazioni ne ha fatto uno strumento per migliorare la conoscenza di sé e del mondo.

Ha imparato in periodi successivi a mettere assieme a due a due le elaborazioni:

·   materiali       + forme        --> artigiano

·   informazioni + materiali  --> tecnico (ingegnere)

·   informazioni + forme       --> utopista.

Qualche genio ha saputo elaborare assieme le tre cose:  Leonardo. (Ho elaborato l'argomento preparando un  intervento sul Leonardo di Paul Valery )

La cosiddetta separazione delle culture è legata alla separazione delle elaborazioni ad una ad una. Spesso, come nella cultura scientifico/ umanistica, sono separate le elaborazioni di due sottoinsiemi delle conoscenze.

E’ stato, così, facile far nascere la moderna ingegneria mettendo assieme il sottoinsieme conoscenze scientifiche con l’elaborazione dei materiali.

Forse è stato anche possibile mettere assieme l’elaborazione dei materiali con l’elaborazione delle forme, con l’elaborazione del sottoinsieme conoscenze scientifiche-umanistiche negli utopisti “umanistici”!

La ricerca moderna richiede di creare scenari, cioè utopie scientifiche mettendo assieme elaborazione conoscenze + elaborazione materiali + elaborazione forme.

Il design industriale è l’incontro moderno tra elaborazione dei materiali (integrata con parte dell’elaborazione delle conoscenze scientifico/tecniche) con l’elaborazione delle forme (mettere assieme sia il miglioramento della vita pratica che edonistica).

L’uomo ha ora imparato a sviluppare prodotti che migliorano le proprie capacità di sviluppare le conoscenze (calcolatori). La situazione diventa tale per cui sempre più

-        si elaborano le tre categorie assieme

-        a fini di miglioramento della vita totale dell’uomo (pratica, edonistica, “ideale”).

Il mio interesse è nell’incontro tra scienziati dedicati al lungo termine (scenario utopistico) e designers che sentono la necessità dell’utopia pratica (nuove società / anticipare i fabbisogni). 


16/6/84

Due condizioni per la progettazione: normale e rivoluzionaria (chiusa ed aperta).

In condizioni normali possiamo considerare la “scienza dell’artificiale” come un sistema chiuso.  In altre parole (analogia con quanto dice Prigogine sulla dinamica classica), un sistema all’interno del quale ci si possono porre delle domande sufficientemente ben definite, e trovarvi le risposte corrispondenti. Il progettista, date le specifiche, trova la soluzione, sia pure good enough (il good enough corrisponde alla necessità, nella dinamica classica di definire un “insieme di traiettorie” dato che le condizioni iniziali sono note solo in modo imprecisato?)

 Vi sono però condizioni (transizione/ catastrofe/ cambiamento base tecnologica) in cui non si è in grado né di porci le domande in modo sufficientemente chiaro, né di darvi ragionevole risposta. Il sistema diventa aperto.
La progettazione diventa ora un gioco (?) (soluzione in cerca di un problema?). E’ una scoperta, che viene immessa nel mondo degli artefatti e si vedrà poi cosa succede.

 E’ possibile “chiudere” il sistema aperto, allargandolo? Probabilmente sì. Anzi, è quello che fa chi produce il gioco (la scoperta risponde sempre ad una qualche domanda, magari fantastica, utopica, a un pallino, ecc.).

In modo più generale si può chiudere il sistema trasformando il “prodotto” allo studio in un “componente” di un sistema più ampio.

 Vi sono pertanto due alternative per il progettista in condizioni di “apertura”.

Vi è una qualche responsabilità del ricercatore in condizioni di “apertura”?
Forse sì, perché lui si incontra con l’apertura del sistema prima del progettista.
E quindi lui stesso:

-        o gioca (concept car),

-        o diventa un progettista-sistemico (scenario, ecc.). 


30/6/84

Il problema riduzionista, partendo dall’alto verso il basso (seguendo l’idea di Prigogine della microscopic randomness).

Trattando un sistema fatto da numerose “particelle” si deve introdurre la statistica, per via della complessità. La speranza riduzionista è quella di potere ricostruire le leggi fenomenologiche, attraverso la statistica, se si conoscono le leggi elementari di interazione fra le “particelle”.

Se le “particelle” sono tuttavia a loro volta dei sistemi complessi, la descrizione delle loro interazioni richiede anche un approccio fenomenologico – statistico. Il problema si riconduce quindi alle particelle costituenti le “particelle” e così via.

Prigogine dice che riconoscendo la “randomness” intrinseca nelle particelle, la interazione tra di loro non può più essere vista con le leggi della dinamica (equazioni ordinarie posizione e velocità), ma con degli operatori. (La fisica quantistica sarebbe un caso particolare di ciò, che tuttavia si limita ad entrare all’interno di una particella?)

In ogni caso il metodo Prigogine serve per un sistema a due livelli:
- particella complessa <----> sistema.

Esiste la possibilità di trattare sistemi a più livelli:
- particella complessa <---- > sottosistema <----> sistema ?

L’evoluzione di un sistema complesso aperto, mostra delle biforcazioni (catastrofi).
L’ipotesi è che la biforcazione sia raggiunta per due ragioni:

L’ipotesi a) è legata all’idea che la particella è in realtà un sistema complesso e che la sua interazione con le atre particelle quindi cambia  con il tempo (ad es. ha subito a  sua volta una “biforcazione” à innovazione).

L’ipotesi b) è importante per rendere irreversibile l’effetto del cambiamento di a). Se il sistema è poco denso l’effetto di alcune particelle (fluttuazioni) può essere ricuperato. Il contrario invece, se invece è denso (es. effetto cambiamento del magnetismo all’abbassare della temperatura = punto di Curie: se è un solido il cambio di spin magnetico viene poi bloccato).

Nasce da qui l’importanza dell’innovazione nei prodotti di massa: quando da nicchie specialistiche l’innovazione passa a prodotti di massa, diventa irreversibile (tutto il sistema produttivo cambia perché gli investimenti principali sono cambiati). 

 
3/7/84  

 Problemi aperti nell’analisi di Prigogine.

 Nei suoi primi lavori, l’entropia era divisa in interna (sistema chiuso) e nella parte contribuita dall’esterno. Quest’ultima può essere negativa.

Il legame tra la “randomness” delle particelle e l’entropia interna non è esplicita, ma si può pensare di trovare un operatore sulle “particelle” da cui si derivi la legge di Boltzmann. In questo caso l’approccio giustificherebbe microscopicamente la legge dell’entropia crescente.

Può, tuttavia, la biforcazione derivare dal “tempo interno proprio” delle particelle
(= sistema complesso)? Ed, in questo caso, anche biforcazioni che portano a riduzione dell’entropia? (Grandi fluttuazioni che cambiano la condizione di esistenza dell’”attrattore” di Boltzmann). 


22/11/84

 Il giocatore.

 Vi sono giochi semplici (briscola) in cui è possibile un gioco razionale / analitico: con un’ottima memoria e con il calcolo delle probabilità si può decidere la giocata ottima. Più giocatori bravi, disponendo delle stesse carte, molto probabilmente giocano allo stesso modo (o meglio le scelte sono distribuite con una gaussiana stretta).

Vi sono giochi più complessi (scacchi) in cui, per quanto bravo, un giocatore non può fare un’analisi razionale /probabilistica degli eventi successivi, salvo per poche mosse successive. La mossa viene pertanto decisa sulla base di questa analisi esplorativa più la capacità di cogliere un senso globale del “bello” della configurazione che risulta nella scacchiera dopo la mossa. L’esperienza insegna a cogliere questo  senso del “bello”.

Per ogni essere vivente la sua vita è una partita di un gioco molto complesso. Le scelte ad ogni istante dipendono da un’analisi limitata dell’ambiente e delle distanze e     da un senso in parte innato ed in parte acquisito di ciò che è buono e ciò che è cattivo.
Il successo di una specie dipende dalla capacità di ogni individuo di giocare bene la sua partita (le strategie evolutive vincenti).

Le decisioni di un essere vivente non sono solo delle scelte all’interno delle alternative che non modifichino l’ambiente. In grado diverso, per specie diverse, l’essere vivente gioca la sua partita decidendo anche di modificare l’ambiente (es. la costruzione di dighe dei castori, o la costruzione di nidi). Ma è l’uomo che ha, più di ogni altra specie la capacità di modificare l’ambiente. La differenza fondamentale con le altre specie è che la costruzione di artefatti si è venuta essa stessa sviluppando evolvendo con il tempo, al punto tale da modificare radicalmente l’ambiente per via via migliorare la possibilità di sopravvivenza. Le strategie evolutive dell’uomo sono pertanto soggette a cambiamento per via dello sviluppo del mondo degli artefatti.

L’uomo non é la sola specie sociale, in cui ogni individuo deve giocare la sua partita con vincoli posti non solo dall’ambiente, ma dagli altri individui della specie. Anzi, vi sono specie con un’organizzazione sociale molto più sviluppata e restrittiva. Tuttavia all’uomo è chiesto non solo di “produrre” per la società, ma di partecipare in modo creativo allo sviluppo del mondo degli artefatti. L’apporto creativo è fortemente individuale. Tuttavia vi può essere forte influenza dell’atteggiamento dell’individuo  verso la “bellezza” o meno del produrre e del creare. Le scelte della sua partita dipendono fortemente da questo atteggiamento. A sua volta questo atteggiamento dipende dalla particolare società o memento storico vissuto.

Vi sono generazioni che sembrano essere accomunate da una fiducia che costruire e modificare l’ambiente è bello, altre invece che hanno atteggiamento più pessimistico.
C’è chi vede l’evoluzione degli artefatti come un progresso, e chi come una vana o addirittura pericolosa attività.
L’analisi della storia del progresso tecnico mostra che vi sono stati periodi di blocco, seguiti da altri di intenso sviluppo.

Oggi dibattiamo molto se l’attività dell’uomo non abbia raggiunto un limite nelle modifiche dell’ambiente al di là del quale si va verso la catastrofe.
Vi è stato un forte cambiamento di atteggiamento nello spazio di una generazione.
Caso personale: rapporto con i figli.

A questo punto ci si può chiedere se non sia possibile utilizzare le nostre capacità di capire il sistema in cui viviamo per aiutarci ad avere un atteggiamento più stabile rispetto al “costruire”.
Aver fiducia nel progresso, non vuol dire che ci si debba comportare in un modo acritico – costruire per costruire. Le scelte progettuali cambiano con il tempo. L’importante è la fiducia che l’uomo sa costruire le cose giuste al momento giusto.

Capire il sistema non vuol dire tuttavia rinunciare alla creatività, avere un comportamento razionale (ottimale) uniforme. E’ proprio l’idea del progresso – nel senso dell’evoluzione – che si basa sulla necessità continua di creatività.

Questo schema di pensiero serve anche a chi scrive per dare un giudizio retrospettivo delle proprie scelte, tutte puntate sulla fiducia dell’homo faber (che è anche ludens). 


2/12/84

 L’osservazione fenomenologica di diversi sistemi aperti porta allo schema di sviluppi logistici + catastrofe.

Il sistema aperto uomo + suoi prodotti segue stessa fenomenologia.

Tuttavia l’uomo (componente di questo sistema) è anche osservatore. Il suo atteggiamento quale dev’essere?

 Come si confronta questa idea con quella dei sistemi auto-organizzanti? L’innovazione crea varietà, quindi è fondamentale perché il sistema tecnico si adatti all’ambiente. In ogni caso, se il sistema è iper-complesso il rumore crea ordine (cambiamento). L’uomo è uno degli attori, quindi soggetto a rumore che crea varietà (innovazione). L’idea del gioco deriva dal fatto che non si sa a priori come si userà l’informazione / rumore nel futuro.

 E’ importante l’aspetto globale del sistema (gestalt) che fa sì che rumore crei + informazioni + opportunità di sviluppo.

I prodotti dell’uomo stanno loro stessi arrivando a fase di iper-complessità (A.I.)
à quindi a maggior ragione va capito il meccanismo.
 

 
12/5/85

 Qual è il “sistema” aperto nel caso dei prodotti dell’uomo?

 Il mondo dei prodotti (le macchine) di per se non è un sistema aperto.

Lo è se ci si mette insieme l’uomo: cioè il sistema tecnico (macchine e loro uso).

Analogamente, vale per il mondo delle conoscenze: i libri non sono un sistema aperto, ma lo sono i libri + l’uomo.

 Domanda: se si guarda il mondo

·   delle macchine

·   delle idee

si scopre che si evolvono come se fossero sistemi aperti. Ne segue che l’uomo è riuscito a far sì che il sistema lui + i suoi prodotti è soggetto alle regole dell’evoluzione?

(gli altri animali non ci sono riusciti).

 Domanda: potranno i prodotti dell’uomo diventare macchine autopoietiche (capaci di riprodursi)? Sarebbe lo stesso passo avvenuto quando si è passati dall’inorganico al vivente?

 Legge della soglia di complessità: il sistema uomo + suoi prodotti è sufficientemente complesso per essere un sistema bio-cibernetico (auto-organizzantesi e soggetto all’evoluzione).

I singoli prodotti dell’uomo, non lo sono ancora: ma i computer potrebbero arrivarci?

Se nel futuro l’uomo sparisse ed il paleontologo vedesse solo i resti dei prodotti - come ora vede le ossa – penserebbe che i prodotti da soli erano un sistema aperto? L’uomo in questo caso farebbe parte dell’ambiente con cui il sistema prodotti interagisce. 


12/5/85

Osservazioni al libro di Corning: “The Synergism Hypothesis

Sta bene dire che l’evoluzione la si applica a vari livelli (non solo al DNA).

Sta bene l’ipotesi di interazione tra i vari livelli. Problema:

Se è vero che la selezione dei sottosistemi (in particolare, sottosistema uomo) è teleonomica, allora occorre che l’uomo abbia un’idea della selezione coerente con quella più generale dell’ambiente naturale che vale per la fitness della specie. Ciò è garantito dal definire selezione come soddisfacimento dei bisogni vitali?

Il pericolo di incongruenza sarebbe allora che l’uomo (che cambia la percezione di quali siano i bisogni vitali) riesce a spostarsi su bisogni in contrasto con la selezione naturale esercitata dall’ambiente nella specie.

(Nel caso del sistema tecnico, io definirei i sottosistemi Ricerca, ecc., come sottosistemi per i quali è l’uomo a definire la selezione.

Corning tralascia in pratica il problema di generazione di cambiamento.  

 

 

 

Qui finisce il diario scritto in anni ancora  impegnati nel lavoro. 

Poi con la pensione, gli interessi si spostano su argomenti più umanistici 
e
riprende per un pò il diario a rispecchiare le letture fatte.