«Tibi augustissima Trinitas/ primæ, Ingenitæ, Ineffabili Harmoniæ,/ ad monadem TRIADI, ad numerum Unisonæ;/ ad tempus Æternæ, ad modos Incommutabili;»
(Gregorio Strozzi, "Elementorum Musicæ Praxis", Napoli, 1683).
«...Dovremmo dare alla musica la possibilità di essere "vista" come in tempi antichi si mostrava al pubblico un grande TRITTICO: chiuso come un'Arca Sacra sui suoi segreti, si apriva solo nel cerimoniale dei Maestri, che solennemente dilatavano l'unica immagine in una narrazione tripartita, e dentro al tempo della cerimonia si osservava l'Arte, vivendone coll'emozione e l'intelligenza il contenuto...»
(Claudio Ronco, "La coscienza del musicista", Concerti "Musica e umanità", Roma 1994)
L'allestimento
della mostra di Nives K-K per Ikona Gallery, nei Magazzini del sale,
a Venezia, riunisce nella parete di fondo tre opere in modo da sembrare
un trittico, in quest'ordine: "Poured with white",
1987; "Flier of dried out wings", 1987, e "Too
many traces for a single life", 1988, così come nell'immagine
in testa a questa pagina. La
mia visita alle opere di Nives è iniziata con l'osservazione
di questi quattro teli simili agli stendardi che in tempi remoti
si portavano in processione, innalzati su pertiche, mossi dal vento,
ma lavorati quasi come drappi matrimoniali, con la cura infinita della
mano femminile che tesse e ricama e su quelli è tornata
ossessivamente, come dovessi svelarne il segreto. E
così ho visto. "L'uomo che indica" mi è apparso
come guida. Con l'indice della sua mano mi mostrava il segreto: la donna
distesa, in un attimo, si è trasformata ai miei occhi in un albero
capovolto, con le radici nel cielo e i rami nella terra, e seguendo
quei rami, scendendo nella terra, nella profonda oscurità della
terra, ho visto l'angelo con le ali disseccate, e poi, uno dopo l'altro,
ogni sguardo di quelle icone, il loro racconto, il loro movimento arcano,
il loro suono. Qual
è la "sacralità" di cui parlo? Ecco dunque l'albero capovolto: l'albero che ha le radici nel cielo e affonda i suoi rami nella terra, come mani che offrono, che donano foglie e frutti nell'oscurità del mondo. Alberi fragili, effimeri abbiamo forse già dimenticato quanto frequentemente le donne morivano di parto in tempi antichi? attraversati dall'impalpabile linfa dell'amore. Per questo, prima di dar voce al mio strumento, dovrò raccontare questa storia: Alberi
Claudio Ronco |
«Lo tov heyot ha-Adam levado», ovvero:«Non è bene (Tov) che l'uomo sia solo»
(Genesi 2:18)[...] che è possibile tradurre anche in modo più esatto, applicando alla parola "tov" la lezione talmudica, con: «È impossibile all'uomo di esistere nella solitudine». Proprio per questo, il versetto biblico continua e conclude (anzi: è Dio in prima persona che conclude la sua frase) con: «Farò un aiuto contro di lui». Questa stranezza linguistica, o questo paradosso, è sempre ignorata nelle traduzioni bibliche, che risolvono, nel migliore dei casi, con un bel: «farò per lui un aiuto che gli si confaccia» (trad. Dario Disegni e Alfredo Sabato Toaff; Torah veHaftaroth, Marietti, Torino 1976). Osservando meglio, la parola ebraica "ezer", "aiuto", proprio come in italiano, anche in ebraico è maschile; tanto basta a far sì che l'osservatore attento intuisca come la "complementarietà" dell'uomo non abbia, in origine, un volto femminile... quanto invece all'enigmatica espressione "aiuto contro di lui", la parola "keneguedò" si traduce in "contro di lui", poiché deriva dalla radice "naguod", che significa "opporsi", ma anche... "raccontare"... quasi quell'aiuto dovesse essere il "raccontare" all'uomo un "altro" mondo possibile, un'altra possibilità...
Così Dio trarrà dalla costola dell'uomo fatto cadere nel sonno, quella donna che poi lo farà cacciare dal Paradiso terrestre? No, non è così. Certo, in ebraico la parola "Tzelà" significa "costola", ma significa anche "lato", proprio come in latino: "costa". Ma per di più significa anche "fallimento", e pure "zoppicare"!Certo, sarebbe perfino più logico immaginare che Dio tragga la donna da un "lato" dell'uomo, piuttosto che da una pezzo del suo corpo, soprattutto quando si è intuito che quel primo essere creato dalla polvere, Adamo, certo non poteva ancora essere sessuato. E così, infatti, dice della prima creazione il primo capitolo di Genesi: «Egli lo fece maschio e femmina» (Gen. 1:27), e tanto basta per sapere che il primo Adamo era androgino, ma orrendamente solo... un mondo finito, chiuso su se stesso, immutabile, e quindi destinato alla distruzione...
La donna è allora il suo dividersi, moltiplicarsi, espandersi... a cominciare da quel "lato", quella curiosa parola: "tzelà", scritta con tre lettere: "Tzade-Lamed-Ayin". Anche la sua radice è composta di tre lettere: "Tzade-Lamed-He", che suonano anch'esse "tzelà"; e così scritta la parola "tzelà" significa:
ombra...
Già... sono parole che mostrano le loro diversità solo nei segni grafici della scrittura, oppure nei giochi possibili col loro suono; ad esempio: "Tzade-Lamed-Ayin" sono tre lettere che si possono leggere "tzel-ayin", così significando: "all'ombra della sorgente"... e il senso si agita in quei suoni fino alla vertigine, trasformando, connettendo... io, Claudio, m'accorgo di "zoppicare /tzelà" come il patriarca Jacob ferito al nervo sciatico, mentre quella parola "risuona" ancora nella parola ebraica "tzelel", "risuonare", e in "hatzelil" "mettere in musica", e in "tzelo", "violoncello"...
Non è forse così che oggi cerchiamo il senso nell'opera d'arte? Non è forse così che un re antico [Serse] si innamorò dell'ombra del suo platano, anziché d'una donna? [...]