EN-SOF Dunque, se sua beltà tanto presume,
Psiche, che di bellezza è un'ombra sola,
Già alla madre d'Amor, al più bel nume,
Gl'incensi usurpa, e l'Olocausti invola!
[...] La MUSICA, insomma, che non "significa" per corrispondenze col conosciuto, o per "somiglianze" col già noto, che non serve allo scopo di "evocare" le cose visibili e invisibili alla coscienza, ma quella MUSICA che è sommo motore dell'Universo, e per conseguenza comprende tutto il noto e tutto l'ignoto; quella di cui noi non possiamo che visitare le rarefatte "presenze", ovvero ciò che abbiamo la capacità di raggiungere nelle rappresentazioni effimere della Sua Immutabile Natura (...Effimera?...Virtuale?...) ascoltami!
Dunque -benché la nostra moderna musica sia cosa assai più sensuale e concreta...- di cosa ho bisogno per entrare nella MUSICA e uscirne poi con dei suoni musicali di cui disporre per "sedurre" un pubblico, per convincerlo ad amare questa grande "Madre" di tutte le arti più nobili?
So -per esperienza pratica, all'esercizio della mia professione nella quotidianità del lavoro-, so di aver bisogno di ordine, umiltà, amore: affermazione di imbarazzante banalità, per il professionista della musica che viaggia con il telefonino cellulare, l'agenda elettronica, l'incubo dell'agente delle tasse.
Ma Ordine, Umiltà, Amore, sono gli insegnamenti che da sempre i nostri Maestri ripetono, e che continuano ad essere la lezione finale, risolutiva, e nello stesso tempo si mantengono quanto vi è di più difficile, inappagante, tormentoso da conquistare, dichiarare, conservare.
Così la "risonanza" delle nostre idee dovrebbe cominciare proprio dall'aver conquistato -e dal conservare- almeno quelle tre cose: TRE, come le note di un accordo: «Tibi augustissima Trinitas/ primæ, Ingenitæ, Ineffabili Harmoniæ,/ ad monadem TRIADI, ad numerum Unisonæ;/ ad tempus Æternæ, ad modos Incommutabili;...» (Gregorio Strozzi, "Elementorum Musicæ Praxis", Napoli, 1683).
Dovremmo dare alla musica la possibilità di essere "vista" come in tempi antichi si mostrava al pubblico un grande TRITTICO: chiuso come un'Arca sacra sui suoi segreti, si apriva solo nel cerimoniale dei Maestri, che solennemente dilatavano l'unica immagine in una narrazione tripartita, e dentro al tempo della cerimonia si osservava l'Arte, vivendone coll'emozione e l'intelligenza il contenuto.
Ma, caro amico, quanto mi sto allontanando dalla serena tranquillità dell'occuparsi di musica "perché ci piace", o perché "è il nostro mestiere!".
In effetti, ormai per vedere un Trittico non ci resta che andare al Museo, e guardarlo inevitabilmente spalancato di fronte al nostro stupore, che senza darcene avviso sensibile si dissolve in noia e in nulla, attraverso disconnesse curiosità.
Ricondurre la musica a un "luogo dell'assemblea", a una casa comune dove interrogarci sul nostro vivere sociale, forse è l'urgenza principale della sua sopravvivenza, poiché ESSA sta languendo più d'ogni altra arte nella banalizzazione, o nella solitudine di ascolti rinchiusi nelle più impenetrabili intimità.
Sì, sebbene avessi iniziato questa lettera con la cosciente intenzione di consegnarti idee pesanti, mi accorgo bene di quanto metto alla prova la tua pazienza nel seguirmi in questi pensieri... tuttavia, se mi è difficile restar sereno e tranquillo in questo scritto, è perché il contributo alla musica da parte della nostra più recente generazione, è immenso, ma al tempo stesso troppo povero: immenso perché mai nella storia dell'umanità si è usata così tanta musica per riempire il mondo di suoni musicali più o meno in "sottofondo" ai nostri pensieri o alle nostre attività, e povero perché è sempre più difficile commuoversi alla musica, o anche solo condividerne la comprensione in comunione con altri.
E allora, amico gentile, se non posso fare a meno del "ripetere" la musica dei nostri avi, lascia almeno che io provi a mostrarti un suo valore edificante, non foss'altro che per sentirmi simile a un antico Maestro, e provar meno la degradante sensazione d'essere una specie di sacerdote condannato a ripetere un rito del quale s'è perso il significato, il valore e l'utilità.
Dunque lascia che io non mi conceda il diritto di "appropriarmi" di quel che ci rimane di tutta la bellezza ideata, conservata, amata dai nostri antichi Maestri: non potrei che farla a brandelli, per farne entrare e uscire da me frammenti sparsi, immagine desolata della nostra ignoranza, o della nostra intelligenza smarrita, inetta, vana.
Ricordi cosa scriveva T. S. Eliot? «These fragments I have shored against my ruins»; «Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine»; (in "The waste Land", 1922).
E le mie rovine, le nostre rovine, vorrei restaurarle con devozione, con amore appassionato, per poterle rendere il luogo dove passeggiare con te, e passeggiando conoscere il segreto della pace.
Ma non è quel che possiamo concederci ora...
E' facile esaltarsi nel "fare musica" con quel tesoro di suoni, di armonie, di composizioni; con quegli strumenti di meraviglia che sono appartenuti ai nostri antichi Maestri! Ma se non abbiamo più nulla oltre al nostro ripeterli, riseppellirli e riesumarli, il nostro godimento rischia di essere solo il frutto di un "furto" incosciente: presto ciò che abbiamo preso sarà consumato, esaurito, spento, né ci sarà modo di rubar altro che possa soddisfarci.
Forse proprio questa è la colpa del furto dall'albero della conoscenza nel Giardino di Dio; non lasciamo, allora, che la musica si riduca ad essere solo più qualcosa di prodotto e consumato, così come accade a causa di una civiltà accecata dal profitto; conserviamo e pratichiamo, piuttosto, la Musica degli Antichi come voce universale delle nostre coscienze, come un ponte verso il futuro.[...](leggi, se vuoi, il testo completo)
Fieri Dardi, acuti strali,
Al ferir v'invito ancor;
Son ferite aspre e mortali,
Di fierezza, e non d'Amor!Benché d'oro il Dardo mio,
Gran ferite apre in un sen;
Son fanciullo, è ver, ma Dio!
Spargo Nettare, e velen...EN-SOF Claudio Ronco, Venezia, maggio 1995.
© C.Ronco 1996