Il formarsi delle idee,

o l'apologia dell'onnivoro

 

 

 

 

 

 

 

 

 


«Caro Claudio,
eccoti qua le tue corde di budello di montone,
come mi avevi ordinato (ma che mai avranno fatto questi poveri montoni per meritarsi nuovamente questa fine?). Non sono di agnello come vorresti, per via di quel violino/kinnòr del biblico Re Davide, che deriverebbe dall'ebraico kinnìm/agnelli (ho capito giusto?), perché quel budello costa troppo caro, in quanto nel montone ci insacchiamo il maiale tritato con sale e pepe, e nell'agnello no. Quindi scordatelo almeno fino al prossimo Millennio...»
«Caro Mimmo,
grazie delle corde. Comunque non è esattamente così
la storia dei kinnim, che non sono proprio agnelli e, come al solito, è un bel po' più complicata...
Ma anche ben più bella, se si ha tempo e
voglia di conoscerla.
Se chiedi a un vecchio ebreo piemontese, ti dirà
che sono le stoffe a pois neri, perché i kinnìm sono i pidocchi; se pensi però all'agnello sacrificale, e guardi al significato letterale della parola ebraica qinnim (suona uguale, ma si scrive con lettere diverse), che è "nido d'uccelli", riferito però a coppia, o nidiata di uccelli sacrificali, come tortore, o piccioni, troverai che in comune hanno, se non altro, il sacrificio.
Gettare buoni semi alla terra dà sempre buoni frutti, e l'amico ebraista Giulio Busi ne ha raccolto uno da questa tua lettera coi kinnim: è un passo del Talmud babilonese, dove si legge di una donna che non sapeva quanti animali portare in sacrificio. Il Maestro Rav Joshua affermò che il suo caso, nel quale il numero delle offerte si ampliava in segno di lode a Dio, era simile al moltiplicarsi delle
voci nel passaggio dell'animale dalla vita alla morte:
"Quando
l'animale è vivo non possiede che un suono, ma quando è morto il suo suono si sente sette volte. In che modo ciò accade? Perché le sue corna diventano due trombe, le due ossa delle due gambe due flauti, la sua pelle il tamburo, l'intestino tenue diventa le corde della lira, e quello crasso si trasforma nelle corde delle arpe [kinnoròt]..." (Mishnah, Qinnim III.5; bQinnim 25a).
Come vedi, sette suoni, o
sette note, addormentate dentro a un nido di uccelletti...»


(Mimmo Peruffo, ricercatore e studioso della storia delle corde armoniche; lettera a Claudio Ronco, maggio 1993.
Risposta di Claudio ronco e Giulio Busi, un po' di tempo dopo.)

«Il fuoco è bello: mia mamma ha passato tutta la vita a osservarlo, io lo guardo sempre, e non ci siamo stufate mai di guardarlo. Le ciliege sono come i giorni della vita: non ti bastano mai. Se il latte o un uovo va sparso per terra devi portare quella terra subito nell'orto; se no porta male. Se rompi lo specchio sono sette anni di guai; allora devi subito recitare sette Ave Maria ogni mattino per sette settimane, e ti sarai salvato.» Parole di Ginòta, donna così grassa che stava sempre seduta sotto la quercia grande vicino al pollaio e all'orto della sua casa, e dava ordini a noi bambini per raccogliere le uova o la lattuga, indicando le cose senza neppure muovere la testa o il collo, ma solo con due grandi occhi ridenti e un dito...

...Sette note, sette anni; ecco a cosa mi sento giunto adesso, per redimermi, per farmi perdonare dagli anziani amici contadini della mia infanzia: sette anni come una lunga settimana; a pensare come portare l'arte che ho appreso e perfezionato alla prova della vita, nei luoghi più lontani qui sulla terra: non nei cieli.
Sette note rotte, come uno specchio della vanità che si è
frantumato; e sette settimane lunghe come anni, a ripetere i miei esercizi per salvarmi l'anima...»

(C.R.)

«La materia prima, [come per gli Alchimisti], è quanto esiste prima della divisione del senso: enorme paradosso perché, nell'ordine umano, all'uomo non è dato nulla che non sia immediatamente accompagnato da un senso, quello dato da altri uomini, e così di seguito, risalendo, all'infinito.»

(Roland Barthes, "La saggezza dell'arte", New York, 1979; in "L'ovvio e l'ottuso", Einaudi, 1985, trad. D. De Agostini.)

 

«...Quei miei anziani amici contadini di note ne conoscevano solo sette, come i giorni della settimana; ma sapevano anche che le tonalità erano dodici, come i mesi dell'anno: gliel'avevano insegnato in Parrocchia, alle lezioni di coro per cantare a Pasqua e Natale. E in chiesa cantavano accompagnati dall'Organo grande, quello che i loro bisnonni avevano pagato col sacrificio di togliersi un po' di pane tutti i giorni per tanti giorni, consolando i bambini, che non capivano il perché, colla descrizione di quella grande scatola che avrebbe portato nella loro chiesa le voci bellissime e argentate di tutti gli angeli del cielo.»

(C.R.)

«...è accertato in tutte le realtà umane che, nelle cose dateci per natura, l'uso precede la conoscenza dei principi. Così anche nella musica avviene che gli uomini usarono sin dagli inizi, senza riflessione e conoscenza dei principi, gli stessi moduli e intervalli che usiamo oggi, sia quando cantano cori di musici nelle chiese o altrove, sia anche in quel canto senza studio né arte che si sente per le strade e nei campi»


(Johann Keppler, Harmonices Mundi, Linz 1619, pag.2/3.)

«Ex Archetypo enim ad Angelicum orbem sive ad sphaeras, & inde ad terrenae habitationis orbem, unitas illa omnia consonantissima reddens, descendit; ut quicquid in unoquoque est, itidem in reliquis suavissima proportione vocibus vitae energia canoris respondeat. DEUS enim est, in quo vivimus, movemur & sumus, illo spiritu mediante, qui intus alit, menteque, quae molem agitat rerum fabricatarum, vera illa a Platonicis intenta mundi anima, quae mundi membra vivificando harmoniaque colligando concordia, mundani decachordi concentus reddit consonantissimos»


(Athanasius Kircher, "Musurgia universalis", Roma 1650, libro II, pp. 456-457)

 

 

 

«...Quando appena prima della Pasqua cantavano in Fa minore sugli accordi dell'Organo semichiuso da un tendone spesso e viola, sentivano bene come quella tonalità aveva il gelo e il grigiore della morte, e la pena dei morti-viventi in attesa del nulla. Quando Gesù era risorto e il tendone era tolto dall'Organo per riempirlo di luce, sentivano bene com'era grandioso il Re maggiore della Resurrezione del Re dei Re, che veniva ad annunciare che la morte era solo un passaggio: una modulazione.»

(C.R.)

 

«Et questo spirito agitante & nutritivo [il Prothomaestro creatore, dispositore, governatore], che vive per entro tutta la mole della Natura, fu da' Platonici Anima del Mondo nominato, percioché vivificando le membre di questo immenso corpo, & con armonico groppo insiememente legandole, il concento dello stromento mondano rende consonante.»
(Gio. Battista Marino, «Dicierie Sacre», Venezia 1643, pagg. 108/109)

 



 

«La terra è bassa, ma a furia di abbassarti a prenderti le cose, diventi alto. Non rimandare a domani, quel che puoi fare oggi. La terra non la inganni: se no inganna te. Gli Alberi sono delle persone sagge, che dopo la morte non avevano voglia di stare in Paradiso fra le nuvole, ma pensavano che era meglio star qui a sentir parlare gli altri, sotto l'ombra fresca.» Queste erano le parole del vecchio falegname Giuanìn, a noi bambini che giocavamo vicino al rio che s'insotterrava sparendo in una canaletta di pietra, fra due immensi, meravigliosi ippocastani, dove lui stava seduto, verso sera, a fumare sigari odorosi di legno antico.

(C.R.)

«Non si debba far giamai concerto alcuno di strumenti Musicali senza darli accompagnamento di voce humana, & quella ben conforme sempre alla materia della cantilena; & ciò per fuggire, che tale Armonia, & concento non possa da sapiuti & intelligenti esser detta muta.»
(Ercole Bottrigari, «Il Desiderio», Bologna, 1599, pag. 12)


 


 

 

 

«Solo quando i ricordi, in noi, divengono sangue, sguardo e gesto; quando non hanno più nome e non si distinguono più dal nostro essere, solo allora può avvenire che, in un rarissimo istante di grazia, dal loro folto, prorompa e si levi la prima parola di un verso.»

(R. M. Rilke, Aufzeichnungen des Malte Laurids Brigge (1910); tr. it. I quaderni di Malte Laurids Brigge, a cura di F. Jesi, Garzanti, Milano 1974, parte I, p.14.)

«Ma che più? di già habbiamo, che il Mondo non può conservarsi salvo, che col motto sonoro; e l'Homo d'armonia composto, armonicamente ancor conservarsi.»

(Lodovico Casali, «Generale invito alle Grandezze, e Maraviglie della Musica», Modena, 1629)


Giovanni Triulzi, Soprano - 400 Zecchini
Carlo Carlani, Tenore - 230 Zecchini
Domenico Ciardini - 100 Zecchini

(Teatro Regio di Torino, frammento "poetico" del libro dei conti, Stagione1748/49)

 


 

 

 

«Il musicista è sempre folle, al contrario dello scrittore, che non può mai esserlo, perché è condannato al senso.»

(R.Barthes, Rasch, 1975, in aa.vv., Langue, discours, société. Pour É. Benveniste, Seuil, Paris.)

«...benché alla debolezza del nostro udito non si permetta di sentire l'armonia delle sfere celesti, non si toglie però alla perspicacia del nostro intelletto il conoscerla, ed internarsi anco a ravvisarla, quando ella si trovi nell'Anime grandi»

(Domenico Scarpione, "Mottetti... Libro secondo", Roma, 1675)

 


 

 

«Terra eri, terra tornerai; quindi devi rispettare questa terra colla quale sei stato fatto, e dove sarai disfatto; devi coltivarla bene, ben seminare, ma soprattutto devi raccogliere ancora meglio: quel raccolto sei tu, è la tua vita. Non devi disperdere la tua anima e il tuo corpo in terra cattiva; converti la terra cattiva in terra buona, col sudore della fronte. E ricordati di ringraziare sempre il Signore per tutto quello che ti dà, morte compresa.» Questa era la lezione che ripeteva sempre a noi bambini il vecchio contadino, becchino del cimitero e sagrestano Batistìn, quando noi andavamo a giocare sugli scalini della sua chiesa, dove lui si sedeva a fumare la sua pipa lasciando qua e là sulle pietre dei segni tondi e neri di cenere impastata a nicotina.

(C.R.)

«Mi dica, se fra le Sfere si trova veramente l'armonia. "Non vi è da dubitare, poiché questo gran volume di cieli altro non è, che una Muta di Musica", disse un bell'ingegno, "ma non già muta, poiché Coeli enarrant gloriam Dei."»

(Angelo Berardi, «Ragionamenti musicali», Bologna, 1681, pag. 29.)

 

 

«Anche nel calcolo astronomico ho applicato le proporzioni musicali. Son infatti affini tra loro, le une e le altre servendo sia all'intelletto sia al senso; e come gli occhi per l'astronomia, così le orecchie appaiono fabbricate per il moto armonico; perciò i Pitagorici ritengono, e Platone con loro, che queste scienze siano sorelle»

(Andrea Matteo Acquaviva, «Illustrium, et exquisitissimarum Disputationum», libro IV, Helenopoli, 1609.)

Chiesi di spiegarmi cosa intendeva dire, e mi rispose subito: «Le note sono soltanto sette. Tu le giri e le rigiri, le sposti e le risposti a trovare posizioni nuove, ma loro, per forza, rimangono sempre solo sette. E prima o poi per forza finirà che tutte le musiche saranno state scritte. E allora cosa si farà? Bisognerebbe stare attenti a non finir di scrivere tutta la musica troppo presto... sarebbe un Peccato!»

(C.R.)



 

 

 

«non solo intellettuale armonia formano quelle sostanze spirituali, ma anche sovente volte con musico suono sensibilmente si lasciano intendere [...] Poiché hebbe questo Eterno Maestro composta, & posta in luce la bellissima Musica dell'Universo; distribuite le parti, & assegnata a ciascuna la sua. La dove egli faceva il Soprano, l'Angiolo il Contralto, l'Huomo il Tenore & la turba de' gli altri animali il Basso.»

(Gio. Battista Marino, «Dicierie Sacre», Venezia, 1643, pag. 111 e 132.)

«Nella saturazione definitiva a cui è giunto oggi il "mercato della musica", mi sembra di vedere quei miei contadini schierati di fronte alla mia strada, a guardarmi e scuotere la testa con disapprovazione: Hai visto? -mi dicono, scuri in volto- Avresti dovuto risparmiare con attenzione quelle poche note. Avresti dovuto seminarle meglio, al tempo giusto, dopo aver preparato bene la terra. Così avresti raccolto bene abbastanza, a Dio piacendo, per poter continuare ancora per un po' di secoli a scrivere musica, e noi avremmo fatto in tempo ad imparare a leggerla. Non l'hai voluto fare? L'ingordigia di metter su tutta una grossa sinfonia, e poi un'altra, e poi un'altra ancora ti ha preso la testa? Ed ora eccoci qua: peggio per tutti noi. Vergogna!»

(C.R.)



 

 

«Nelle Chiese si canta Miserere mei Deus; ne' Teatri si va alla morte con le migliori grazie musicali suddette. È bene, che l'assuefazione e il costume non dian luogo alla riflessione.»

(Giuseppe Tartini, «Trattato di musica», Padova 1754, pag. 149)

 

«...Il problema, è che tutta quella gente aveva tempo, e noi non ne abbiamo più: l'abbiamo perso nella nostra "rapidità".» 

C.R.

 

 

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