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Gennaio 2002

Febbraio 2002

Anno 2

numero 7-8 

 

   

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Inchieste

Gli Animali: servono solo per gli esperimenti?

di Dosi Alberto

(V AP)

 

 

La vivisezione è uno dei cosiddetti mali minori della nostra società, ma essa suscita sgomento in vari strati dell'opinione pubblica. Da molti anni, ormai, l'uomo si arroga arbitrariamente il diritto di eseguire ogni genere d’esperimenti sugli animali provocando loro, in molti casi, sofferenze indicibili che farebbero accapponare la pelle anche agli indifferenti, ai meno sensibili, a coloro che hanno il cuore duro come la roccia. La verità è che la scienza ha effettivamente bisogno degli animali per portare avanti complicate sperimentazioni mediche o genetiche, che per ovvi motivi non potrebbero mai essere effettuate direttamente sull'uomo. Sono numerosi i casi in cui la ricerca applicata agli animali ha prodotto risultati di notevole rilievo nell'ambito dei grandi problemi della medicina umana. In particolare i primati, per la loro pur lontana parentela con gli uomini, si sono rivelati utilissimi e infatti attualmente ve ne sono migliaia disseminati, più o meno ufficialmente, nei laboratori di tutto il mondo.

Ma anche i topi, i conigli, i cani e i gatti sono sovente utilizzati nei centri di ricerca. Gli animalisti lottano strenuamente, da tempo, nel tentativo di convincere i governi ad emanare leggi speciali che tutelino gli indifesi animali da simili intollerabili abusi, ma non sono riusciti finora a raggiungere risultati apprezzabili. È vero che tuttora esistono numerose limitazioni all'uso degli animali per la ricerca scientifica, ma è altrettanto vero che si tratta di norme ancora troppo speciali o comunque inefficaci perché facilmente aggirabili. Ma prima di introdurci oltre nel discorso è necessaria una precisazione. Esiste una vivisezione dai contenuti morali tutto sommato meno drammatici, che è quella che consente agli scienziati di sperimentare vaccini, tecniche di trapianto, di cercare soluzioni a malattie per ora incurabili, come l' AIDS, il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson e naturalmente i tumori. Un po' meno giustificabili sono gli esperimenti di biogenetica, che alimentano le prospettive di una scienza che non si pone fini prettamente medici, ma va forse troppo al di là dei confini della biologia, oltre i quali è bene non avventurarsi onde evitare spiacevoli sorprese ed errori raccapriccianti.

Da condannare con energia la “vivisezione industriale”, che non si prefigge altro che l'indiscriminata sperimentazione sugli animali, allo scopo di realizzare prodotti più efficienti, soprattutto nel campo della cosmetica. Considerata astrattamente, la vivisezione andrebbe sicura- mente combattuta, poiché moralmente è inammissibile minacciare le altre forme di vita del pianeta per i propri comodi, anche se è vero che alcune applicazioni finiscono per giustificarla, sia pure soltanto parzialmente. Gli animalisti, organizzati in numerose associazioni, tra le quali il celeberrimo W.W.F., portano avanti la lotta ai laboratori senza cedere di un passo, nemmeno di fronte ai numerosi risultati positivi ottenuti dagli scienziati in campo medico. Tra le più recenti novità c'è infatti una sperimentazione che avrebbe permesso di curare una scimmia dal morbo di Parkinson, tramite un parziale trapianto cerebrale. Beninteso, quando si parla di trapianto cerebrale non s’intende la sostituzione di un'ampia porzione di cervello, ma semplicemente l'innesto di neuroni, tramite il microscopio. Questi neuroni vengono lentamente assorbiti dal tessuto cerebrale e nel giro di qualche mese possono essere in grado di riprodurre le condizioni antecedenti all'avvento della malattia.

Anche nella ricerca sull'AIDS le scimmie stanno assumendo un ruolo determinante, poiché la maggior parte degli scienziati sostengono che su di esse si può provare con profitto l'efficacia di vari vaccini o comunque studiare le fasi di sviluppo del male. Esistono numerosi laboratori nei quali gli animali vengono trattati con il massimo riguardo, con a disposizione numerosi infermieri che li accudiscono amorevolmente. Uno di questi è il Lemsip della New York University, uno dei laboratori più efficienti e confortevoli al mondo, dove albergano centinaia d’esemplari di scimpanzé: davanti a un tale gioiello, perfino le più irriducibili società per la protezione degli animali si sciolgono, scendendo dal loro piedistallo di giustizieri del male e rendendosi conto delle buone intenzioni dei ricercatori di quell'istituto, dove la salute degli animali occupa un posto di importanza non inferiore ai risultati della ricerca stessa.

La lotta si fa invece serrata nel campo industriale, dove si consumano quotidianamente indescrivibili violenze ai danni degli animali. Provate a domandarvi come la casa produttrice dello shampoo che usate sia arrivata alla formula definitiva.

È stato grazie al sacrificio di moltissimi animali, soprattutto conigli, che hanno dovuto subire supplizi atroci per degli esseri viventi: moltissime ore passate in assurdi macchinari, dentro i quali agenti chimici massacrano le loro membra, mentre i poveri animali, terrorizzati, lanciano urla strazianti e si dibattono in preda a bruciori lancinanti; sostanze iniettate sotto la pelle per sperimentare eventuali caratteristiche allergeniche, colliri, e altre torture d’ogni genere.

Sono convinto della necessità di perseverare con l'utilizzo degli animali nella ricerca scientifica, ma sono altrettanto persuaso del fatto che soprusi di questo tipo, il cui unico scopo non è altro che il lucro, vadano impediti ad ogni costo. Le società protettrici degli animali dovrebbero indirizzare i loro sforzi nel mettere in cattiva luce le aziende che si avvalgono di tali pratiche, tramite sottili e calibrate campagne denigratorie, che finirebbero senz'altro per dissuadere tali società dal continuare su quella strada. I biologi industriali non fanno altro che eseguire gli ordini dei loro datori di lavoro, ma provate a mettere in pericolo l'immagine che un marchio ha presso il pubblico: qualsiasi società, pur di non perdere la faccia, rinuncerebbe senza alcun tentennamento a tali deleterie metodologie.

 

 


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