Miscellanea |
corone
L’uso di contare (e di usare strumenti per contare) le preghiere non fu una novità cristiana. Fu semmai innovativo averle debitamente suddivise per non ridurle a semplice ripetizione più o meno continua di formule, ed averle intercalate con altre preci o riferimenti alla Parola di Dio ed alla vita di Gesù per stimolare la meditazione sul Mistero celebrato. Questi usi però furono importanti fonti di devozioni. A parte (ovviamente!) il Rosario, é solo il caso di ricordare che l’Arciconfraternita Madre di Morte e Orazione istituì la corona dei 100 Requiem (che i suoi iscritti recitavano pubblicamente ogni lunedì) e che l’Arciconfraternita di San Giuseppe dei Falegnami di Roma definì le Litanie di San Giuseppe. Quanto all’Arciconfraternita Madre della Misericordia di Firenze, del suo abito confraternale fa tuttora parte (e viene regolarmente portata) la corona del Rosario che al posto del Crocifisso ha una medaglia raffigurante la Madonna della Misericordia. L’Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso in San Marcello (sempre in Roma) contribuì invece a diffondere la corona c.d. “del Cristo” di origine monastica e strutturata su un numero di preghiere (e quindi anche di “grani” che compongono la corona stessa) riferito ai 33 anni della vita terrena di Dio Figlio. San
Francesco dispose che chi entrava a far parte dell’Ordine da lui
fondato ma non sapeva leggere, recitasse determinate preghiere (che
potevano essere imparate anche a memoria e contate con l’aiuto di una
corona) in luogo della Liturgia delle Ore (che presupponeva l’uso dei
testi liturgici). Sulla
scìa di queste disposizioni, anche in diverse Confraternite (non
importa di che specie o titolo) si poteva distinguere tra Confratelli
“da coro” (cioè coloro che erano capaci di leggere e quindi di
cantare la Liturgia delle Ore) e Confratelli “da corona” (che, non
sapendo leggere, erano tenuti a pregare recitando, in sostituzione,
innanzitutto il Rosario). Come
il suo Padre Fondatore, anche San Bonaventura da Bagnoregio (VT) istituì
una apposita corona (che di conseguenza da lui prese nome) per i
Confratelli e le Consorelle dell'Arciconfraternita del Gonfalone (delle
quale compose il primo Statuto). Essa consiste complessivamente di 60
grani (25 + 1 + 25 + 1 + 7 + 1), suddivisi in 2 poste di 25 grani ed un
ulteriore grano ciascuna (25 + 1), ed inoltre di 7 grani ed un ulteriore
grano nella parte terminale (7 + 1). La corona è completata dalla croce
e da un caratteristico fiocchetto che la rende simile alle corone
orientali. La sua recita comprende, dopo il segno della Croce e l'Invitatorio,
25 Padre Nostro ed un Gloria, quindi 25 Ave Maria ed ancora un Gloria,
infine 7 Padre Nostro ed Ave Maria; si conclude con un Eterno Riposo e
con un'orazione tratta dalla Liturgia dei Defunti, in suffragio per
tutti essi. La
pia pratica di questa corona prevedeva che la si recitasse tutti i
giorni, correlandovi determinati benefici spirituali, tuttora in vigore
benché da rivedere secondo quanto previsto dalla Norma n.° 14 della
vigente Costituzione Apostolica sulla Dottrina delle Indulgenze. Per
illustrarla e spiegare il modo di recitarla, in alcuni documenti
confraternali ne é addirittura riportato il modello e l'indicazione
delle relative preci. Quello qui riprodotto é tratto da un
"Sommario delle Indulgenze dell'Arciconfraternita del
Gonfalone", del quale furono stampati esemplari diversi dal XVII
sec. in poi, che venivano inviati alle Confraternite aggregate. Alcune
Confraternite la portano ancora, appesa al cordone dell'abito
confraternale, anche se non sempre ne ricordano chiaramente l'origine.
Ovvio che nulla vieta di riprenderne l’uso, valorizzando anche in
questo caso tutta la ricchezza spirituale relativa. Dovrebbe comunque essere chiaro il significato di un simile simbolo (= segno che produce un determinato effetto) come pure di altri oggetti del genere: si tratta di “corone” e cioè di formare con la loro recita una ideale corona di preci e di lodi ai Misteri della Vita, Morte e Risurrezione del Signore e di onore a Maria Santissima e di sentirsi “legati” con questa “catena” al progetto di Dio sul mondo e su ogni uomo, corrispondendovi con fede, in modo responsabile e coerente.
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Sviluppo
del culto di San Francesco da Paola nelle
Confraternite della Trinità dell’area
dell’ “oltregiogo” ligure-piemontese
Un
aspetto poco conosciuto o forse trascurato (ma non meno importante e
particolare) della devozione a San Francesco da Paola, riguarda lo
sviluppo del suo culto in
e ad
opera di alcune particolari Confraternite: quelle della
Santissima Trinità. A
differenza di quelle a lui intitolate, sorte chiaramente attorno alla
sua figura ed in sua devozione, le Confraternite trinitarie si
occupavano istituzionalmente di assistere i pellegrini e di riscattare
gli schiavi, ed il culto più intenso lo tributavano e tuttora lo
tributano al Mistero principale della Fede. Questi
elementi, però, non spiegano la loro relazione col nostro Santo; per
comprenderla bisogna invece considerare la cosiddetta "visione
delle tre corone", che seguiamo nella narrazione sia del biografo -
a noi contemporaneo - Padre Giuseppe Roberti, sia degli storici più
antichi (vedi: San Francesco da Paola - Storia della sua vita - Roma 1963): "Durante
i lavori della chiesa di Paola, il Santo attendeva con alcuni operai
all'erezione dell'altare maggiore. Un giorno, mentre gli altri compagni
si erano recati a desinare, egli, come di consueto, rimase lì volendo
usufruire di quel poco tempo libero per raccogliersi con maggior agio
nella preghiera ed in breve, tanto rapito nell'estasi dei Misteri di
Dio, si elevò nell'aria e apparve circonfuso da vivo bagliore. Quando i
frati tornarono in chiesa, rimasero sulla soglia, colpiti dal più vivo
stupore. Di lì, non visti, essi poterono ammirare lo spettacolo
singolare di Francesco che aveva il capo sormontato da tre cerchi
luminosi, disposti in modo da formare come una tiara splendidissima. Il
Servo di Dio, ritornato all'uso dei sensi, girò intorno lo sguardo e,
persuaso che nessuno lo avesse osservato, riprese tranquillo e
soddisfatto il suo lavoro". I
biografi del Santo non si sono preoccupati di segnalare la data di
questa visione (di cui sono testimoni i suoi primi tre frati:
Fiorentino, Angelo e Nicola), collocabile tra il 1435 e non oltre il
1445, anno in cui il Santo si trasferirà a Paterno Calabro, da dove
proseguirà, poi, i suoi viaggi e la sua missione in diversi luoghi
d'Italia e di Francia. Come
noto, egli fece vita eremitica. Nato nel 1416, morì presso Tours nel
1507. Ebbe carismi taumaturgici e profetizzò alcuni avvenimenti della
sua vita, nonché l'elezione di Leone X (il Papa che lo Canonizzerà nel
1519, a cui disse: "Io sarò santo quando voi sarete Papa"). Nel
Marzo o ai primi di Aprile del 1483 frate Francesco transita per Genova
(é ospitato dal Doge Battista Fregoso): é diretto a Tours, inviato per
ordine del Pontefice a curare re Luigi XI, che é ammalato. Guardando il
colle detto di Montesano, che si affaccia sul porto, preannuncia:
"Lassù, piacendo a Dio, ben presto avremo un monastero, che si
chiamerà di Gesù e Maria". Cinque anni dopo, sulle alture del
quartiere di Principe si diede inizio alla costruzione. Per
oltre un secolo e mezzo i primi religiosi (mandati dalla Francia),
espletarono qui il loro apostolato, prima che la principessa Veronica
Spinola patrocinasse nuovi lavori di rifacimento ed ampliamento di
quello che diverrà l'attuale, frequentato Santuario della gente di
mare, tuttora retto dagli stessi frati dell'Ordine detto "dei
Minimi", fondati appunto da San Francesco da Paola. Accanto
ad essi iniziarono a far riferimento dei laici che intendevano
coadiuvarli e collaborare con loro, partecipando nel mondo del loro
carisma. Fu l'inizio del Terz'Ordine (= laici associati ad un istituto
religioso), tuttora operante, al cui apostolato si deve l'inizio della
diffusione della devozione e della spiritualità paolane. Tale procedura
contribuì a far conoscere la figura e le opere di questo santo così
gratificato dalla Trinità anche presso altre associazioni e portò pure
a costituirne di nuove (non necessariamente legate ai Minimi). Tuttavia
non é qui e non é questa la radice dello sviluppo del culto "paolano"
che ci interessa analizzare. Genova ci interessa solo come punto di
riferimento geografico, come primo e più qualificato luogo di
irraggiamento per le nostre zone. Ma per chiarire del tutto il
ricorrente nesso tra Francesco da Paola e la Trinità occorre ancora
tornare alla narrazione della visione. Il
Padre Roberti deduce che Dio volle, con questa visione, accreditare in
forma sensibile a Francesco la missione speciale: "... di mostrare
in sé stesso la virtù di Gesù Cristo attraverso la triplice luce
della mortificazione, dell'umiltà e del martirio ...". E non deve
essere trascurata un'antica tradizione -riferita da parecchi biografi-
secondo la quale Francesco in quell'estasi ebbe rivelata la Regola del
suo Istituto, per la quale doveva rifulgere di un carattere tutto
proprio, in una forma
di vita e di azione che gli ha assicurato nella storia il merito di tre
aureole: la verginità, l'apostolato ed il martirio. Insomma:
come si può vedere, gli argomenti toccati o sviluppati in queste
narrazioni, o messi in luce dalla loro analisi o da appropriata esegesi
degli studiosi, evidenziano sempre una matrice trinitaria: tre corone,
tre virtù, tre caratteri ... Quindi:
qual'era il richiamo immediato, l'immagine che più chiaramente poteva
venire focalizzata (prima ancora di pensare ai suoi significati)?
Senz'altro ci si poteva ricondurre alla Trinità ed anzi, certe
raffigurazioni iconografiche ritraggono proprio il nostro Santo ai piedi
della Trinità che, addirittura, é essa stessa a presentargli una tiara
(= corona pontificia, composta da tre
corone sovrapposte), come, ad es., si vede nella tela della cappella
del Collegio "Emiliani" di Genova-Nervi. Più
semplicemente, la visione delle tre corone ben presto identificò San
Francesco da Paola come santo della Trinità. Questo ne diffuse
straordinariamente la devozione in direzione delle Confraternite della
Trinità che, a loro volta, divennero "canale speciale" di
ulteriore propagazione soprattutto del suo culto (cui esse possono
provvedere, essendo il culto uno dei loro scopi peculiari ed avendo
mandato ufficiale di compierlo in nome della Chiesa). Data la loro
funzione di assistenza ai pellegrini ed i collegamenti esistenti tra le
Confraternite per gestire questo servizio, non fu difficile avere agili
canali di trasmissione per far conoscere questo santo cui si era
accumunati dalla stessa spiritualità. Tuttavia
ciò non avvenne in modo immediato ed unitario, perché occorre
considerare che: -
la diffusione del culto di San Francesco da Paola nelle Confraternite
della Trinità é subordinata al fatto che esse sono già in qualche
modo inquadrate nella dinamica del loro omonimo Ordine religioso, di cui
sono emanazione (cosa che, del resto, accade anche per le Confraternite
"paolane" nei loro rapporti con l'Ordine dei Minimi, ed anzi,
in questo caso ciò avviene in modo diretto, senza intermediazione di
una Arciconfraternita, cioé di una "casa-madre" confraternale,
com'é invece nel caso della Trinità); -
l'Arciconfraternita Madre della Trinità venne fondata in Roma, da San
Filippo Neri, nel 1548 e solo dalla seconda metà del XVI sec. iniziano
le aggregazioni (= registrazioni) ad essa di altre Confraternite aventi
medesimi titolo o finalità (quelle preesistenti dipendevano e dipendono
direttamente dall'Ordine Trinitario, ma mediante modalità differenti); -
la presenza di Confraternite trinitarie in luoghi rivieraschi, infine,
incontra una devozione popolare che spesso ha già eletto il nostro
Santo a Patrono (visti alcuni suoi fatti prodigiosi operati in ambiente
marinaro, che lo porteranno ad essere proclamato, appunto, protettore
della gente di mare). Non
si deve comunque trascurare che nelle chiese "paolane" era
usanza inserire (sull'altare oppure nella mensa o anche sopra la pala)
opere a carattere trinitario (ad es. nella chiesa del convento dei Padri
Minimi di Borghetto Santo Spirito -Savona- in cui era eretta la
Confraternita Trinitaria), e l'opposto accadeva nelle chiese
"trinitarie". In entrambi i casi si trattava sia di ricordare
il Mistero principale di Dio e sia di evidenziare che Francesco era
stato ammesso alla sua contemplazione già quand'era su questa terra.
Questo valeva piuttosto per le chiese rette dai religiosi, in
particolare per quelle dell'Ordine dei Trinitari, al quale -come s'é
visto- sono tuttora legate le omonime Confraternite. Non si può dire
che lo stesso procedimento fosse costantemente applicato nelle chiese
sedi delle Confraternite, però esso costituì un buon metodo di
riferimento ed anche un buon modo con cui la cultura materiale ha
lasciato segni e testimonianze ben precise. Dopo
questa ampia premessa chiarificatrice si possono esaminare esempi
concreti e tuttora vivi che dimostrano la notevole e benigna recezione
della devozione e del culto a San Francesco di Paola e come ciò si fissò
in diverse realtà (tralasciamo quanto fecero i singoli fedeli, dato
l'indubbio ruolo che -a livello comunitario- ebbero piuttosto le
associazioni come le Confraternite, capaci anche di adeguata
collocazione e celebrazione liturgica di questa devozione, come si é
osservato).
Nella
Basilica-Santuario della gente di mare in Genova, la visione delle tre
corone é affrescata sul medaglione della volta dell'accesso laterale
destro. Partendo idealmente da qui, si possono fare alcune
"tappe" in varie località delle valli dell'Oltregiogo. Superato
il Passo della Bocchetta ed entrati in Gavi, poco dopo il ponte sul
Lemme ecco l'Oratorio dove é esposta alla venerazione dei fedeli (é la
pala dell'altare maggiore) la tela raffigurante San Francesco da Paola e
San Filippo Neri rivolti verso la Trinità. Il 15 Maggio 1601 i Terziari
di San Francesco da Paola di Gavi (ecco una loro realizzazione, come
segnalato all'inizio) presentarono all'Autorità Diocesana una supplica
per istituire la Confraternita sotto l'invocazione della Trinità,
tuttora operante, che in detto Oratorio ha sede (la quale venne quindi
aggregata alla propria omonima Arciconfraternita-madre nel 1609). L'altare
laterale destro dell'artistico Oratorio della Trinità in Serravalle
Scrivia é dedicato al nostro Santo e la locale Confraternita
(trinitaria) tuttora lo celebra nella prima domenica di Aprile. Lungo
la storica ed importante Via del Sale, in val Borbera, gli é dedicato
un altare nella chiesa Parrocchiale di Rocchetta Ligure. In questo caso,
però, più che i viandanti o le Confraternite, poterono gli stessi
Spinola, signori del luogo, che così come patrocinarono l'ampliamento
del Convento di Genova, diffusero pure la figura di questo Santo in
altre località. Per
arrivare in questa località i mulattieri ed i viandanti transitavano
per Vobbia, capoluogo della omonima valle (laterale alla valle Scrivia).
Ivi, nella chiesa parrocchiale c'é un altare dedicato al nostro Santo,
in paese opera tuttora una storica Confraternita Trinitaria, ma la cosa
più interessante é forse il fatto che nel 1716 prendeva i Voti
religiosi nel Convento Minimo di Genova il Padre Ignazio Beroldo
(cognome tipico locale) da Vobbia, appunto. Questo dimostra (e sarebbe
bello che ciò continuasse!) come l'esempio dei santi fa nascere
vocazioni di cui le Confraternite furono spesso la fucina o comunque il
luogo di maturazione di questa chiamata. Sembra invece meno probabile
che fosse padre Beroldo a zelare l'erezione di tale altare (*). Nel
minuscolo borgo di Vargo (presso Stazzano, all'imbocco della val Borbera)
esiste una Confraternita della Trinità che custodisce una reliquia di
San Francesco da Paola, e questa è una cosa abbastanza originale se si
pensa che le reliquie del nostro santo non sono poi molte, dopo gli atti
vandalici che subirono quando il suo corpo era sepolto a Tours. Tuttavia
appare chiaro come anche nei luoghi più sperduti si sapesse bene chi
erano i santi patroni pertinenti, di conseguenza si faceva tutto il
possibile per procurarsi una loro reliquia, sia per motivi di devozione
che di prestigio dell'ente che la possedeva. Il
nostro Santo é riprodotto in tele esposte attualmente in due chiese
(San Pietro e Collegiata) del centro storico di Novi Ligure, ma anche
qui esisteva un insigne Confraternita Trinitaria, attualmente,
purtroppo, estinta. Ecco che San Francesco da Paola -affrescato sulla
facciata dell'Oratorio della Trinità di Pozzolo Formigaro- pure in
questa località continua a vegliare sui passanti, forse ignari del
motivo di tale sua presenza. Sempre
nella Bassa Valle Scrivia, é il caso di ricordare che é stata
resturata la pala raffigurante San Francesco da Paola, esposta alla
venerazione su di uno degli altari laterali della Collegiata di
Castelnuovo Scrivia. L'attuale Confraternita di San Desiderio nacque
dalla fusione delle preesistenti Confraternite cittadine (una delle
quali era dedicata alla Trinità): spesso le Confraternite avevano il
proprio "altare di rappresentanza" nella chiesa principale
della comunità e questo può spiegare il perché di una simile presenza
in luoghi diversi ed apparentemente inaspettati. Anche
a San Sebastiano Curone, nella valle omonima, sempre nell'Oratorio di
una Confraternita della Trinità é esposta alla venerazione dei fedeli
una pregevolissima statua di San Francesco da Paola, opera del rinomato
scultore Francesco Montecucco o, forse, addirittura dell'ancor più
insigne Domenico Bissoni. Questa statua é particolare perché presenta
il nostro Santo che reca in testa le tre corone (se non si conosce la
storia della visione delle tre corone e se non si nota l'abito da
religioso, si può esser tratti nell'errore di scambiarlo per un
Pontefice). Per una vasta zona di territorio non risulta esserci in
nessun altro luogo una raffigurazione del genere. Non é comunque un
caso -come si é visto dagli elementi del culto di questo santo- che
questa statua, originariamente custodita nella locale cappella del
Palazzo De Ferrari, sia stata ricollocata proprio nell'Oratorio della
Trinità e non altrove. Nella
limitrofa Val Grue, a Garbagna, nel Santuario della Madonna del Lago,
un'altra tela ripropone questo Santo Taumaturgo (naturalmente, nemmeno a
dirlo, anche in questo luogo opera tuttora una Confraternita della
Trinità). A
Tortona, infine, fino al XVII sec. esisteva un Convento dei Padri Minimi
(all'incirca nell'isolato di Piazza Duomo); era eretta la Confraternita
della Trinità nella chiesa di Loreto (ma già in epoca medioevale una
comunità religiosa era insediata nel “complesso della Trinità”,
presso l'attuale Via San Marziano); ed un quadro raffigurante San
Francesco é ancora esposto attualmente nella chiesa di San Rocco, sede
della Confraternita della Misericordia (chissà come e perché ci é
arrivato!). Probabilmente ci sono connessioni, non ancora riscoperte,
anche tra queste tre realtà. In
conclusione tutta questa rassegna vorrebbe proporre alcune riflessioni. La
prima é che questa presenza del Santo Taumaturgo Paolano non può e non
deve essere solo accettata in modo passivo. Grava sulle Confraternite e
sui loro Assistenti Spirituali (anche mediante rinnovati contatti con i
religiosi Minimi) il preciso compito, pure in questo caso, di
ricomprenderne e riattualizzarne il messaggio, se questa presenza é
ormai solo accettata e non ne viene più approfondita la proposta
cristiana di cui é portatrice. Una delle caratteristiche del cristiano
é la gioia (ed inoltre, il Fondatore dell'Arciconfraternita della
Trinità, San Filippo Neri, é definito "il Santo della gioia"
per eccellenza): allora non sarebbe il caso di riappropriarsi della
festa cristiana (e cioé dei suoi significati, contenuti e modalità) e
di tornare a festeggiare San Francesco da Paola in questa maniera? In
secondo luogo la visione delle tre corone testimonia la fede e l'umiltà
che consentirono a San Francesco da Paola di ricevere tale prezioso
attestato della benevolenza divina e gli diedero forza per non cedere
alle tentazioni di potere e vanità. Questo é un esempio da tenere
presente ed imitare. Infine
occorre ricordare l'impronta penitenziale dell'Ordine dei Minimi: essa
deve servire di incitamento alle Confraternite per il recupero di una
corretta pratica penitenziale (scopo che le ha caratterizzate fin dalle
origini). Non
possiamo che invocare con fiducia l'intercessione di questo Santo,
affinché ci aiuti nella "navigazione" tra le vicende umane,
orientati sempre verso Dio.
Gian Paolo Vigo - 02.04.1996
NOTA: (*)
cfr. le ricerche effettuate da Maria Ratto negli archivi parrocchiali, e
le sue opere: "L'Oratorio di Vobbia" (1982) e "La chiesa
parrocchiale di Vobbia" (1998): quest'ultima opera è sevita solo
di riscontro, essendo stata edita da poco (il mio presente articolo era
già stato stampato da due anni). _____________________________ N.B.: Lavoro
apparso sul bollettino del Santuario di San Francesco da Paola di
Genova, nr.° 5/1988; riveduto
ed ampliato completamente dopo il 2° Convegno Internazionale di studio
su "Fede, pietà, religiosità popolare e San Francesco da
Paola" (Paola, 7-9.12.1990, vedi Atti pubblicati dalla Curia
Generalizia dell'Ordine dei Minimi nel 1992); pubblicato
quindi (nella sola parte storica) da "Novinostra", rivista
della Società Storica del Novese, nr.° 3/1996.
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Riflessione
utile ad ogni forma di volontariato, non
importa di che natura. Premesso
che: -
bisogna fare, saper fare, lasciar fare, e
che -
se si fa si è credibili, e se si è credibili si diventa trainanti … fatte
queste premesse si può quindi comprendere la TEORIA di CATTELINO,
secondo la quale esistono tre tipi di volontario: a. il
volontario che è in grado di essere trainante e che, grazie al suo modo
di essere, stimola anche gli altri ad agire; b. il
volontario che per fare ha bisogno di essere incoraggiato opportunamente
(comunque, grazie a questo incoraggiamento, diventa operante
anch’esso); c. il
volontario che non ha voglia di fare ma stimola gli altri ad operare,
pensando che, se lavorano, egli può continuare a far niente. Chi ha buonsenso rifletta !
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la “cappa”Coerentemente
con lo spirito originario che animò le prime forme di associazionismo
confraternale, i primi Confratelli e Consorelle, per manifestare
pubblicamente il loro impegno di espiazione per i peccati del mondo e di
pacificazione sociale, si vestirono con rozze tuniche di lino o di juta
(richiamo alle vesti di penitenza di biblica memoria), che erano le
stoffe più comuni e povere dell'epoca. Quando essi definirono la
propria struttura, l'abito confraternale (in alcune zone chiamato
"cappa", altrove detto "sacco", "veste",
ecc.) divenne uno dei principali simboli identificativi, tipici e
caratterizzanti di queste associazioni, della loro presenza e dei
relativi servizi socio-religiosi, e lo é tuttora.
L’abito indossato dai Confratelli fu realizzato nella
forma a càmice tuttora nota, per richiamare la tunica indossata da Gesù
nella Sua Passione Redentrice (la spiritualità confraternale delle
origini fu fortemente improntata alla Passione del Signore e per alcuni
aspetti lo é anche adesso); la cappa delle Consorelle richiama invece
il mantello, simile a quello dei frati, portato dalle prime donne che
affiancarono i Penitenti del Medioevo, quando questi si erano ormai
organizzati e spiritualmente uniti agli Ordini religiosi. La cappa di
alcune Confraternite riprende infatti alcune componenti delle tonache
(colore, forma o qualche annesso).
Anche la forma ed il colore della cappa non sono casuali né
arbitrariamente cambiabili o abbandonabili, perché servono ad indicare
e permettono di riconoscere un certo tipo di Confraternita, il suo
servizio ed i suoi legami (in termine tecnico si dicono aggregazioni)
che esistono (anche dal punto di vista legale) con altre della stessa
specie oltreché, ovviamente, con tutte quelle dello stesso territorio,
con la relativa Arciconfraternita ossia “casa-madre”, con una
"famiglia", ossia con la comunità composta da tutti coloro
che si riconoscono nel nome, nello spirito, nel carisma o nelle opere di
un Ordine, Congregazione o Istituto religioso della Chiesa Cattolica,
nonché, naturalmente, con gli organi confraternali competenti, ai vari
livelli.
Se non in limitatissimi particolari od in altrettanto
limitatissimi casi, non c'é invece nessun richiamo ai paramenti sacri o
alla divisa di alcuni ordini cavallereschi.
Mettere la cappa non é un gesto superato, superfluo od
inutile, ma segno (ossia simbolo che produce determinati effetti) e
testimonianza di una presenza cristiana che ha una definizione ed una
collocazione precise, perché la cappa:
- é il segno e la manifestazione dell'appartenenza ad una
Confraternita e della partecipazione alla sua azione;
- é abito per il servizio liturgico (non è un
"accessorio" che indossano solo coloro che portano i
simulacri, limitatamente alle processioni, o il cui uso é lasciato
all'arbitrio o alla voglia dei singoli iscritti);
- é un richiamo alla veste del Battesimo (e quindi alla
dignità sacra di ogni battezzato) ed alla fine della vita terrena: i
Confratelli defunti venivano (e dovrebbero essere tuttora) rivestiti con
la cappa (é un atto assolutamente non anacronistico e mai abrogato da
nessuno, anzi fu una delle prime regole ad essere fissata, in segno di
uguaglianza davanti a Dio, alla fine della vita terrena che si lascia,
lasciando assieme ad essa tutte le distinzioni ulteriori di stato
sociale, ecc.);
- é un continuo invito a proseguire nella via di pietà dei
fondatori delle Confraternite, che vollero rivestirsi di quest'abito per
devozione, penitenza, impegno di vita migliore, e non solo per semplice
tradizione: indossando la cappa, i Confratelli ricordino che si sono
rivestiti di Cristo e gli appartengono, non ci deve dunque più essere
mancanza di sintonia tra spirito e vita;
- la cappa é distintivo di carità e di amore verso i più
bisognosi ed, in certi casi, anche abito di servizio (ad es. per le
sepolture od i soccorsi: quindi, per praticità alcune cappe sono o
erano di tela cerata).
Tutte le cappe dovrebbero avere il cappuccio, segno di umiltà
e di nascondimento; quando questo è calato sul volto non permette di
essere riconosciuti, indicando l'anonimato delle buone opere (nessuno sa
perciò chi deve ringraziare per il bene ricevuto) e l'annullamento
della differenza di classe sociale (sono accumunati il ricco col povero,
l'istruito col meno colto...). E' così stimolata e continuamente
richiamata la fedeltà alle esortazioni di Gesù: "Non sappia la
tua sinistra quel che fa la tua destra." (alcune cappe hanno
perfino una manica più lunga dell'altra per ricordarlo!). Nella
simbologia del cappuccio si può notare un ulteriore significato,
apparentemente contraddittorio con quanto appena esposto: il cappuccio
nasconde la persona, ma questo non avviene per mascherarne l'identità,
ma per rafforzare ulteriormente l'annullamento della differenza di
classe sociale: dietro il cappuccio ci possono stare tutti e può
esserci chiunque, non solo qualcuno che non vuole svelarsi.
La cappa é dunque emblema significativo per la decorosa e
pubblica espressione del culto e per il generoso servizio di carità, e
quindi abito coessenziale all'associazionismo confraternale.
Essa é innanzitutto uguale per tutti (non é ammissibile
"personalizzarla": le differenziazioni, quando ci sono,
servono solo per distinguere i dirigenti dell'associazione o chi ha
qualche incarico, espressione di un servizio, non di un potere), indica
che tutti i Confratelli (= "come-fratelli" ovvero "con-i-fratelli")
sono uguali tra loro, sono tutti figli di Dio (si pensi inoltre al nome
"Compagnia" dato alle prime Confraternite, che deriva da
"cum-panis", ossia colui o coloro con cui si divide il pane),
inoltre ricorda che l'ordinamento dell'associazione é democratico e
gestito comunitariamente, non egemonicamente (a differenza di quelle
organizzazioni nelle quali l’uniformità della divisa rafforza il
concetto dell'appartenenza ad un gruppo piuttosto che la figura del suo singolo
appartenente).
Avendo presenti tutti questi aspetti si può quindi
esaminare come e perché essa é composta in un certo modo, iniziando da
ciò che ordinariamente indicano i colori della stoffa di cui é fatta:
- il bianco
richiama il colore delle prime cappe indossate dai Flagellanti medievali
e così furono e sono confezionate le cappe della maggior parte delle
Confraternite, a cominciare dall'Arciconfraternita-Madre del Gonfalone,
la cui struttura sarà poi adottata da tutte le altre Confraternite
sorte in seguito. Su questo abito sono quindi stati inseriti o aggiunti
diversi altri elementi (es. classico: la mantellina);
- il grigio
ricorda la tela grezza, di simile colore, dell'umile saio dei primi
Frati dell'Ordine Francescano: l'uso di una cappa simile indica le
Confraternite (ed i legami tra esse e tale Ordine) sorte al seguito dei
"Fratelli e Sorelle della Penitenza" nati dall'esperienza di
San Francesco;
- il rosso
é il colore caratteristico della Confraternita della Trinità dei
Pellegrini, fondata da San Filippo Neri, ed indica l'effusione dello
Spirito Santo ed il fuoco della carità che deve infiammare il cuore di
chi é iscritto a questa associazione nell'esercitarne lo scopo: la
glorificazione della Trinità attraverso l'azione di liberazione del
prossimo dalle emarginazioni e dalle schiavitù. Non poteva essere
scelto colore migliore, visto che il rosso simboleggia la divinità;
- il marrone ed il giallognolo richiamano rispettiamente la tonaca o il mantello dei
religiosi dell'Ordine Carmelitano (i cui primi eremiti, e non solo essi,
adottavano vesti di tinta affine, tessute con peli d'animale) e indica
una Confraternita della Madonna del Carmine; ma questo colore
(indipendentemente dall'Ordine religioso di aggregazione) potrebbe anche
semplicemente indicare Confraternite nate dal Movimento Penitenziale
medievale, i cui primi membri, come si é detto, vestivano rozze tuniche
di tela di sacco;
- l'azzurro é il colore mariano per eccellenza: é il colore del cielo, prefigura
la Gloria Eterna (per cui simbolicamente indica la divinità) in cui é
già stata assunta la Madonna. Esso fu assegnato alle Confraternite del
Rosario dai Padri Domenicani, i quali ne zelarono l'erezione un po'
ovunque, tanto che la fondazione di queste Confraternite, assieme a
quelle consimili del Santissimo Sacramento, era auspicata in ogni
Parrocchia; questo colore (usato sia per la cappa che per la mantellina)
indica comunque una Confraternita mariana (o anche una Confraternita del
Santissimo Sacramento legata ai Domenicani, mentre quelle legate alla
Basilica del Laterano sulla cappa bianca portano invece la mantellina di
colore rosso, e chi, ad es., ha una doppia aggregazione, potrebbe avere
cappa azzurra e mantellina rossa);
- il verde
é innanzitutto il colore dell'Arciconfraternita di San Rocco e, di
conseguenza, delle sue aggregate; questo colore richiama quello delle
vesti con cui questo Santo pellegrino viene effigiato nell'iconografia
tradizionale e costituisce un richiamo ed un invito alla speranza
durante il pellegrinaggio terreno, prefigurazione di quello verso
l'Eternità. Il verde allude alla stagione della rifioritura, del
ritorno della vita, e quindi richiama simbolicamente l'umanità in
cammino;
- il nero,
il colore simbolico della terra, da cui ha principio la vita, alla quale
torna con la morte, é adottato, per questi motivi, dalle Confraternite
della Buona Morte ("buona" nel senso cristiano del termine,
sia innanzitutto dal punto di vista di una adeguata preparazione ed
assistenza spirituale, che da quello del provvedere ai servizi necessari
ai diversi atti e situazioni che accompagnano quest'ultimo momento della
vita): in senso lato il nero é stato quindi inteso come indicatore di
lutto, ma non é questo il suo significato originario o comunque
principale;
Altri colori o combinazioni di colori usati o usabili
possono derivare dall'iconografia con cui é tradizionalmente effigiato
un Santo Patrono (ad es. il viola
del mantello di San Giuseppe, che però potrebbe indicare anche
Confraternite penitenziali); dalla carica da evidenziare (ad es. il giallo-oro, colore della solennità, in genere usato per gli ornamenti
delle cappe e/o delle mantelline dei responsabili della Confraternita,
non importa di che tipo); o anche dalla semplice affinità col colore
stabilito (ad es. il blu
anziché il nero o l’azzurro, per distinguere due Confraternite di
titolo diverso, entrambe con abito scuro, esistenti nella stessa località,
o limitrofe, o che hanno avuto vicende particolari riguardo
all'aggregazione.
Così ci possono essere più elementi distintivi, sia
sull'abito e sia sullo stemma confraternale, perché ci possono essere
più aggregazioni oppure più contitolari.
Tutte le cappe sono o dovrebbero essere munite di un cordone
per cingere i fianchi (e/o, a seconda dei modelli delle cappe, anche di
un collare): é un richiamo alle funi con cui fu legato il Signore e
quindi a sentirsi strinti a Lui, alla Sua legge, e ad avere
autocontrollo morale. A volte il cordone ha dei nodi (in genere 3, 5 o
7) che ricordano alcuni momenti della Passione (ad es.: le 3 cadute
sulla via del Calvario, le 5 Sante Piaghe del Crocifisso, le Sue 7
effusioni di Sangue) e invitano ad atti di devozione. Quello che ora é
un semplice cingolo, anticamente terminava con dei veri e propri
flagelli (= frustini con frange in metallo o pietra), usati
pubblicamente dai primi Confratelli (ecco perché venivano detti anche
"Flagellanti" o "Battuti") per colpirsi sulla nuda
carne per concreto atto di penitenza (per decenza, per non scoprire il
busto, essi portavano cappe con un buco sul dorso, qualcuna foggiata così
si trova ancora); alcuni cingoli non sono di corda di cotone ma di
canapa, e terminano con simbolici flagelli intrecciati, ad indicare
l'anzianità dell'associazione e la sua origine penitenziale.
Si deve prestare la massima attenzione a non cambiare la
cappa per "moda", comodità, gusto di novità ad ogni costo,
perché si é visto fare da altri, perché ci si é affidati a scelte
arbitrarie o personali, ignorando (pur in buona fede) caratteristiche
ben più importanti e profonde ed una storia plurisecolare. Gli stessi
stemmi per essere tali devono rispettare determinate e ben precise
regole di araldica. L'improvvisazione, la fantasia e la troppa
originalità in questo campo devono essere bandite. L'abito di molte
Confraternite é spesso un'opera d'arte e comunque é un segno materiale
di rilievo di una storia ben precisa, per cui sono veramente da fuggire
interventi estemporanei o privi di competenza. Certo, in qualche caso
esso può sembrare uno strano indumento (non é detto che tutte le
divise siano di buon gusto) di cui, forse, potrebbe esser riveduto
qualche particolare (anche per aggiungere qualcosa, e non solo per
togliere!), poiché nella Chiesa si deve volere il buon gusto e la
bellezza. Ma, ad es., un abito confraternale seicentesco é portatore di
una testimonianza definita, iniziata in un dato periodo e tuttora
vivente. Sarebbe fuori dal tempo indossare tutti i giorni un capo del
genere, però non si chiede di usarlo sempre (cosa che fa veramente
essere fuori dalla realtà corrente).
D'altra parte nulla vieta che per una nuova Confraternita si
possa adottare un abito che, tenuto conto del titolo dell'associazione,
sia adatto al tempo ed al luogo ma senza rinnegare l'antica esperienza,
le norme di base e la Tradizione. Ovviamente (e questo vale per tutti)
la cappa NON può essere sostituita da nessun "surrogato"
(medaglia, fascia al braccio o a tracolla, ecc.) da mettere da solo, e
le misure, fattezze e materie con cui é fatta devono comunque essere
appropriate e decenti. N.B.: a parte i momenti in cui é previsto l'uso
dell'abito confraternale, sarebbe bello ed auspicabile (come accade in
moltissimi altri gruppi), che anche chi é membro di una Confraternita
avesse un piccolo distintivo di essa (o della rispettiva
"famiglia" confraternale) in segno di appartenenza a tale
associazione nonché di riconoscibilità del suo esserne parte, da
mettere nelle circostanze in cui non si indossa la cappa.
I valori ed i significati contenuti nel segno della cappa
sono così profondi da meritare tuttora molta considerazione, non certo
da abbandonare in nome di ragioni diverse. L'abito esteriore deve essere
segno dell'abito interiore, morale, dei Confratelli. La cappa cioé
riveste il corpo così come lo spirito di un Confratello dovrebbe sempre
essere rivestito dei sentimenti dell'umiltà, della concordia, della
penitenza del cuore, del sacrificio, della preghiera, dell'anonimato del
bene (sentimenti simboleggiati tutti dagli elementi della cappa). Queste
esortazioni trovano il loro più caloroso assertore e propagatore in San
Carlo Borromeo, riformatore delle Confraternite, che per esse, e
soprattutto per i loro membri, stese una apposita "Regola" in
cui sono contenute numerose e preziose indicazioni, tuttora valide ed
attuali, cui il presente testo accenna, ma esse andrebbero
periodicamente riproposte all'attenzione di ogni Confratello e
Consorella, per verificare se, quanto e come le abbiano praticate, le
pratichino e le vogliano continuare a praticare.
L'abito confraternale, quindi, non può essere assunto
superficialmente: il Rito della Vestizione, che deve essere celebrato
secondo quanto prevede la Liturgia, dà il giusto rilievo al ricco
significato dell'abito ed ai valori profondi che esprime. Senza volerne
esagerare il ruolo, portare la cappa é, insomma, un modo non generico
per dare testimonianza visibile di culto e carità. Non c'é quindi da
vergognarsi di indossarla pubblicamente, ricordando che non si può dire
buon cristiano chi ha vergogna a testimoniare pubblicamente la propria
fede, anche partendo da gesti simbolici (pure qui tutto é segno, ossia,
come è già stato ricordato, simbolo che produce un determinato
effetto) come é, in questa fattispecie, il mettersi la cappa, poiché
una fede vissuta privatamente resta un fatto individuale che non produce
gli effetti indicati e voluti dal Vangelo. In una frase: in quest'ottica
la cappa indica pubblica manifestazione della propria fede e richiama
quindi l'impegno a vivere cristianamente e coerentemente con le promesse
fatte.
E' necessario, ogni tanto, pensare a queste cose, e domandarsi se ed in che modo si dà questa testimonianza!
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