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CIRCOLARE CEI |
REGOLA DELLE CONFRATERNITE DE' DISCIPLINATI |
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PRIMA PARTE |
Conferenza
Episcopale Italiana CIRCONVALLAZIONE AURELIA, 50 - 00165 ROMA TEL. 06.66.398.261 - 66.398.316 - TEL. E FAX: 06.66.398.267 COMITATO PER GLI ENTI E I BENI ECCLESIASTICI E PER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICO ALLA CHIESA CATTOLICA Roma, 1° marzo 1999 Circolare n. 28
Indirizzi per la definizione della condizione giuridica delle confraternite 1. Questo Comitato ha presentato agli Ecc.mi
Vescovi con la circolare n. 15, fin dal 30 giugno 1987 una completa
esposizione circa la condizione giuridica delle confraternita in Italia,
evidenziando tre tipologie: A)
confraternite
aventi fine di culto
civilmente riconosciuto; B)
confraternite
aventi fine di assistenza e beneficenza; C)
confraternite
aventi fine di culto non ancora riconosciuto formalmente. Appare ora necessario, anche alla luce degli
sviluppi del quadro normativo e giurisprudenziale intervenuti
successivamente, ritornare sull'argomento con la presente circolare. A)
Confraternite aventi fine di culto civilmente
riconosciuto 2. Le confraternite dei primo tipo sono enti
ecclesiastici civilmente riconosciuti e devono necessariamente essere
iscritte nel registro delle persone giuridiche tenuto dalla cancelleria
del Tribunale civile del capoluogo della provincia in cui hanno sede. Le curie diocesane sono invitate a controllare che
tutte le confraternita per le quali esiste il decreto di riconoscimento
del fine prevalente o esclusivo di culto siano effettivamente iscritte nel
suddetto registro. Nel caso che una confraternita abbia cessato di
fatto l'attività, non abbia più neppure un confratello o comunque non
sia in grado di eleggere gli organi statutari, il. Vescovo diocesano deve
nominare un commissario a norma del can. 318, § 1 del codice di diritto
canonico, perché provveda all'iscrizione nel registro e agli altri atti
amministrativi, governando la confraternita per un tempo determinato. E' noto che le persone giuridiche sono, per loro
natura, perpetue (can. 120, § 1). Considerato peraltro che le
confraternita sono associazioni di fedeli, per le quali la presenza di
soci costituisco un elemento essenziale, è bene che il Vescovo diocesano
proceda alla soppressione della confraternita "quiescente', ai sensi
dello stesso canone citato, qualora non ravvisi la possibilità di
adesione di nuovi soci in un ragionevole spazio di tempo, senza attendere
la scadenza del termine dei "centum annorum" previsto dalla
medesima disposizione canonica come causa estintiva. La devoluzione dei patrimonio deve essere disposta
secondo le indicazioni (e con la procedura) stabilite dall'art. 20 delle
Norme approvate con il Protocollo stipulato tra la Repubblica Italiana e
la Santa Sede il 15 novembre 1984: vale a dire, in favore dei destinatari
previsti dalla volontà dei disponenti o dallo statuto della confraternita
stessa, o, in mancanza di specifiche previsioni, in favore dell'ente
immediatamente superiore ai sensi dei can. 123 (cioè della Diocesi),
fatti sempre salvi gli eventuali diritti acquisiti. B)
Confraternite aventi fine di assistenza e beneficenza 3. Le confraternite aventi fine prevalente di
assistenza e beneficenza sono .equiparate alle istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza (IPAB), regolate dalla legge 17 luglio 1890, n.
6972 (la c.d. legge Crispi) e successive modificazioni. Esse, in quanto
persone giuridiche pubbliche nell'ordinamento italiano, non possono e non
devono essere iscritte nel registro delle persone giuridiche private. Negli ultimi anni si sono verificate rilevanti
novità legislative e giurisprudenziali in materia di IPAB. La Corte
costituzionale con sentenza n. 396 del 7 aprile 1988 ha dichiarato la
illegittimità costituzionale dell'art. 1 della citata legge Crispi, nella
parte in cui non prevede che le IPAB regionali e infraregionali possano
continuare a sussistere, assumendo la personalità giuridica di diritto
privato, qualora abbiano tutti i requisiti di una istituzione privata. A seguito di tale sentenza il Governo ha emanate
con D.P.C.M. 16 febbraio 1990 una direttiva in materia alle regioni,
precisando che: "Sono riconosciute di natura privata quelle
istituzioni che continuino a perseguire le proprie finalità nell'ambito
dell'assistenza, in ordine alle quali sia alternativamente accertato: a)
il carattere
associativo; b)
il carattere
di istituzione promossa ed amministrata da privati; c)
l'ispirazione
religiosa" (art. 1, comma terzo). Tali indirizzi sono stati recepiti in diverse leggi
regionali. A seguito della citata sentenza della Corte
costituzionale e delle successive leggi regionali recentemente diverse
IPAB hanno assunto la personalità giuridica di diritto privato. I principi ispiratori dell'Accordo di revisione del
Concordato dei 18 febbraio 1984 fanno sorgere un'incompatibilità tra
l'appartenenza di un'associazione all'ordinamento confessionale e la sua
qualifica di ente pubblico nell'ordinamento statale. Per questa ragione è
opportuno che tutte le confraternite qualificate come IPAB chiedano la
personalità giuridica di diritto privato nell'ordinamento italiano,
avvaalendosi della possibilità derivante dal ricordato intervento della
Corte Costituzionale e facendo riferimento alle disposizioni procedurali
che molte regioni hanno emanato. E' bene, tra l'altro, ricordare che gli indirizzi
di politica legislativa emergenti dal disegno di legge in materia di
riforma dei servizi socio-assistenziali presentato dal Governo al
Parlamento vanno nella direzione del superamento della figura delle IPAB
attraverso l'obbligatoria trasformazione in fondazione di diritto privato
o in azienda comunale. 4. Per quanto riguarda l'ordinamento canonico si
pone il problema se le confraternite aventi fine di beneficenza debbano
essere considerate associazioni di fedeli pubbliche o private. Le confraternite fino all'entrata in vigore del
nuovo codice erano qualificate come persone giuridiche pubbliche: non solo
perché il codice pio-benedettino non prevedeva le associazioni private,
ma anche per la ragione specifica che esse avevano come fine l'incremento
dei culto pubblico e non potevano essere erette so non con formale decreto
dell'autorità ecclesiastica competente (cf. cann. 707-708 del codice del
1917). Il codice di diritto canonico del 1983 ha
introdotto la distinzione tra associazioni pubbliche e private; ciò
comporta la possibilità di qualificare come associazioni private dì
fedeli talune confraternite che in passato erano state qualificate
pubbliche, sempreché esse abbiano le connotazioni proprie
dell'associazione privata (cf cann. 298-311 e 321- 326). Le confraternite, avendo per norma come fine anche
l'incremento del culto pubblico (cf can. 707, § 2 del codex 1917), in
linea con la tradizione dovrebbero essere qualificate come associazioni
pubbliche di fedeli (cf can. 301). Fanno eccezione in Italia le
confraternite che non hanno scopo esclusivo o prevalente di culto, per la
precisa ragione che nell'ordinamento canonico vige la norma pattizia per
cui esse sono soggette alla pubblica amministrazione (ora alla regione)
per quanto riguarda l'organizzazione e l'amministrazione (art. 71, comma
primo, delle Norme approvate con il Protocollo dei 15 novembre 1984:
"Le confraternite non aventi, scopo esclusivo o prevalente di culto
continuano ad essere disciplinate dalla legge dello Stato, salva la
competenza dell'autorità ecclesiastica per quanto riguarda le attività
dirette a scopi di culto"; cf art. 17 legge 27 maggio 1929, n. 848).
Se queste confraternite non sono soggette all'Ordinario per quanto
riguarda l'organizzazione e l'amministrazione, appare conveniente che
nell'ordinamento canonico non siano considerate associazioni pubbliche di
fedeli, bensì qualificate
associazioni private dotate di personalità giuridica ai sensi dei cann.
299 e 322. Le confraternite aventi fine prevalente di
assistenza e beneficenza che hanno modificato il proprio statuto
eliminando le finalità di religione e di culto o il riferimento
all'autorità ecclesiastica, quelle che non si sono attivate per chiedere
la depubblicizzazione e quelle che di fatto hanno rifiutato di tenere
rapporti con l'autorità ecclesiastica, devono essere soppresse
nell'ordinamento canonico, in quanto si verificano gli estremi delle
"graves causae" previste dal can. 320, § 2 o del "grave
damnum disciplinae ecclesiasticae" previsto dal can. 326, § 1. In tale ipotesi resta fermo, qualora la
confraternita abbia una propria chiesa, che essa non potrà più gestire
l'esercizio del culto e dovrà cedere l'uso della chiesa alla parrocchia
competente per territorio o all'ente ecclesiastico designato dal Vescovo
diocesano al momento della soppressione. Quando si verifica una delle cause sopra indicate
il Vescovo deve perciò, a norma dei cann. 50 e 320, § 3, sentire i
responsabili della confraternita e quindi invitarli a scegliere tra due
alternative: - o chiedere al Vescovo stesso di confermare il
riconoscimento della confraternita con la qualifica di associazione
privata di fedeli e impegnarsi a gestire l'esercizio dei culto a norma del
diritto canonico sotto la sua vigilanza (cf. art. 17 della legge n.
848/1929 e art. 77, comma primo, delle Norme approvate con il Protocollo
dei 15 novembre 1984); - oppure, ove non si voglia il riconoscimento come
associazione di fedeli, chiedere la soppressione della confraternita
nell'ordinamento canonico ai sensi del can. 320 e cedere l'uso della
chiesa e l'esercizio dei culto all'ente ecclesiastico designato dal
Vescovo diocesano; se, rifiutata la prima alternativa, la confraternita
non accede neppure alla seconda, il Vescovo può dar corso al procedimento
diretto ad ottenere anche agli effetti civili la cessione dei diritto
d'uso della chiesa (cf. art. 831 codice civile). C)
Confraternite aventi fine di culto non ancora riconosciuto formalmente 5. Le confraternita aventi scopo esclusivo o
prevalente di culto non riconosciuto formalmente con regio decreto o con
decreto ministeriale si trovano attualmente in una situazione di difficile
qualificazione, che potremmo dire di "limbo", a causa della loro
inadempienza nel chiedere l'accertamento dei fine secondo quanto previsto
dalla normativa pattizia dei 1929. L'art. 71 delle Norme approvate con il Protocollo
dei 15 novembre 1984 dispone nel secondo comma: "Per le confraternite
esistenti al 7 giugno 1929, per le quali non sia stato ancora emanato il
decreto previsto dal primo comma dell'art. 77 del regolamento approvato
con regio decreto 2 dicembre 1929, n. 2262, restano in vigore le
disposizioni del medesimo articolo". Il richiamato art. 77 a sua volta dispone:
"L'accertamento dello scopo esclusivo o prevalente di culto di una
confraternita è fatto d'intesa con l'autorità ecclesiastica, e gli
accordi stabiliti non sono vincolativi per lo Stato se non dopo
l'approvazione con regio decreto, udito il parere del Consiglio di Stato.
Sino all'approvazione suddetta tutte indistintamente le confraternite
continueranno a rimanere soggette alle disposizioni di legge e regolamenti
in vigore, salvo quanto dispone il capoverso dell'art. 52" (ora,
peraltro, l'approvazione è data con decreto del Ministro dell'llntemo e
non v'è più la necessità dei previo parere del Consiglio di Stato). L'art. 52, capoverso, si riferisce alle
confraternita che non hanno scopo esclusivo o prevalente di culto (cioè a
quelle del secondo tipo), e stabilisce: "Tutte le disposizioni di
leggi e regolamenti, ora in vigore per le confraternite, rimangono ferme
nei riguardi di quelle che non abbiano scopo esclusivo o prevalente di
culto". Dall'esame della normativa vigente sommariamente
richiamata appare chiaro che le confraternite del tipo in esame, pur
essendo rimaste di fatto per oltre cento anni alle dipendenze dell'autorità
ecclesiastica, sono tuttora equiparate alle IPAB e soggette di conseguenza
alla relativa normativa fino a che il fine di culto non sia civilmente
riconosciuto con decreto ministeriale. Esse pertanto non possono essere
iscritte nel registro delle persone giuridiche private. 6. Le confraternita con fine di culto non ancora
riconosciuto formalmente possono trovarsi in situazioni di fatto assai
differenti: - alcune
svolgono attività in modo continuativo e provvedono regolarmente
all'elezione degli organi statutari; -
altre
svolgono attività soltanto in occasione delle feste patronali e non
provvedono a regolari elezioni; -
altre infine
non svolgono più attività da diversi anni, e tuttavia seguitano ad
esistere formalmente. 7. Questo Comitato raccomanda vivamente agli E.mi
Vescovi di curare che le confraternite, che ancora hanno soci e svolgono
attività, richiedano l'accertamento del fine di culto secondo quanto
disposto dalla normativa di derivazione pattizia. Il Ministero dell'Interno ha indicato nella
circolare ministeriale n. 111 del 20 aprile 1998 la documentazione
necessaria per tale pratica (cfr. allegato A): 1.
Istanza in
bollo, datata e sottoscritta dal rappresentante legale 2.
Assenso
dell'Ordinario diocesano 3.
Decreto di
erezione o, in mancanza, attestato sostitutivo dell'Ordinario diocesano 4.
Verbale
dell'organo deliberante, da cui risulti la volontà di chiedere il
riconoscimento del fine prevalente o esclusivo di culto 5.
Documenti
comprovanti l'esistenza della confraternita al 7 giugno 1929 6.
Statuto 7.
Prospetti
economici analitici relativi all'ultimo quinquennio di attività
dell'ente, sottoscritti dal legale rappresentante 8.
Relazione
storico-illustrativa dettagliata relativa alle vicende dell'ente e
all'attività svolta dall'origine fino alla data attuale, indicante anche
il numero dei confratelli. Si ricorda che il parere della regione non deve
essere allegato all'istanza, in quanto compete alla Prefettura richiederlo
alla regione stessa nel corso dell'istruttoria. In relazione agli elementi sopra richiamati si
propongono le seguenti osservazioni: * L'assenso di cui al n. 2 risponde a un requisito
sostanziale previsto in via generale per il riconoscimento degli enti
ecclesiastici. Tuttavia l'art. 77 del R.D. n. 2262 prevede che
l'accertamento del fine di culto delle confraternita avvenga d'intesa con
l'autorità ecclesiastica. Per assicurare in modo omogeneo e sollecito
detta intesa si suggerisce, avendo sentito in proposito anche la Direzione
Generale per gli Affari dei Culti, di attenersi alle seguenti indicazioni:
- le singole pratiche, accuratamente istruite in
diocesi, siano sottoposte dal Vescovo diocesano all'esame di questo
Comitato, che ne verificherà la completezza e la rispondenza ai requisito
di legge, confrontandosi con la medesima Direzione Generale ove
emergessero aspetti bisognosi di chiarificazione o di approfondimento; - il Comitato riconsegnerà la pratica verificata
al Vescovo diocesano, il quale la completerà con l'assenso previsto al n.
2 e la trasmetterà alla Prefettura competente, allegando copia della
lettera di riconsegna del Comitato; - il Ministero dell'interno considererà la
trasmissione della pratica, cosi integrata, da parte del Vescovo come
espressione dell'intesa dell'autorità ecclesiastica richiesta dall'art.
77 del Regio Decreto richiamato. * Appare evidente l'opportunità che le
confraternite amministrate da un commissario straordinario ricostituiscano
gli organi statutari prima di deliberare la richiesta di riconoscimento
del fine di culto di cui al n. 4. La procedura è la seguente: a) ammissione di un congruo numero di confratelli
con delibera del commissario o dell'Ordinario diocesano; b) convocazione
dell'assemblea per l'elezione degli organi statutari; c) elezione del
moderatore e degli organi statutari; d) conferma
del moderatore da parte dell'Ordinario diocesano. * La delibera, di cui al n. 4, avente ad oggetto la
richiesta di riconoscimento dei fine esclusivo o prevalente di culto non
deve essere fatta con atto notarile; è sufficiente che essa risulti da
una copia dei libro dei verbali, autenticata dal cancelliere della curia
diocesana. * I documenti comprovanti l'esistenza dell'ente al
7 giugno 1929, di cui al n. 5, possono consistere - a titolo
esemplificativo - nello statuto antico, in relazioni storiche che citano
la confraternita, in contabilità o in documenti relativi a beni immobili
o mobili (scritture private, atti pubblici, lasciti o legati, ecc.). Si nota che occorre dimostrare l'esistenza
dell'ente, non il possesso da parte del medesimo della personalità
giuridica, perché questa si presume. Il problema era già avvertito
all'epoca della legge Crispi. Non era certamente agevole compito quello di
accertare come e quando una confraternita sorta prima dell'unificazione
del Regno avesse acquistato la personalità giuridica. Per tale motivo la
giurisprudenza, come la migliore dottrina, hanno finito per orientarsi
verso una soluzione di praticità. In sostanza si ritennero come dotate di
personalità giuridica tutte le confraternita erette in titolo
dall'autorità ecclesiastica, e in difetto di erezione canonica si
ritennero ugualmente persone di diritto anche quelle che, sorte in tempi
nei quali non era richiesto un intervento statale, furono sempre di fatto
considerate enti morali (cf. Appello Genova 7 maggio 1892, in Rivista
di diritto ecclesiastico, volume 3, p. 172; Appello Cagliari 13
gennaio 1894, ivi, volume 4, p. 628; cf. anche G. Saredo "Acquisto dei corpi morali" in Digesto
Italiano, n. 66: "L'art. 2 del Codice civile [del 1865] ha
studiatamente evitato di dichiarare da quale autorità debba essere
riconosciuto o creato un corpo morale per avere esistenza giuridica: ha
usato la cauta locuzione legalmente
riconosciuti. Il legislatore ha voluto così che di ogni corpo morale
esistente, si dovesse considerare l'esistenza come conforme alle leggi,
finchè non sia provato il contrario, senza domandar titoli o
provvedimenti. Epperciò un corpo morale che esista da lungo tempo, anche
se non possa produrre i suoi titoli di fondazione, non solo è
riconosciuto, ma non gli è necessario alcun provvedimento sovrano per
supplire alla mancanza di titoli. Il Consiglio di Stato ha ripetutamente
sancita la massima che non sia da accogliersi la istanza di un corpo
morale regolarmente esistente per essere riconosciuto come tale, non
potendosi ammettere che un corpo morale che ha una lunga esistenza di
fatto, che ha agito, acquistato, contrattato per lungo tempo, abbia
mestieri di uno speciale riconoscimento. Ne segue che sono soggetti alla
legge 5 giugno 1850 e agli art. 2, 433, 932 e 1060 del Codice civile tutti
i corpi morali, così quelli che sono stati esplicitamente eretti, come
quelli che esistono da lungo tempo di fatto"). Nella linea di tale dottrina e giurisprudenza il
legislatore del 1929 ha usato la dizione "esistenti al 7 giugno
1929". * Lo statuto da allegare, di cui al n. 6, deve
essere quello in vigore al momento della domanda: tale statuto dovrà
essere depositato nel registro delle persone giuridiche non appena avuto
il decreto di riconoscimento del fine di culto. Nel caso che lo statuto della Confraternita
riconosciuta risulti per vari aspetti meno congruo con l'attuale
configurazione concreta e con l'attività spirituale e pastorale della
stessa e, in, ogni caso, bisognoso di adeguamento alla disciplina del
codex 1983 in materia di associazioni di fedeli, sarà bene procedere
successivamente, ottenuto il riconoscimento del fine di culto, al
necessario aggiornamento, coinvolgendo i confratelli. A tal fine si allega uno schema-tipo di statuto
aggiornato (cf. allegato B). * I prospetti economici, di cui al n. 7, consistono
nell'indicare le entrate e le uscite dei singoli anni e il saldo
esistente, nonché l'eventuale stato patrimoniale al 31 dicembre
precedente. * La relazione storico-illustrativa, di cui al n.
8, è certamente il documento più importante per valutare l'attività di
culto svolta dalla confraternita in relazione a quella di assistenza o di
altro genere. Questo Comitato resta a disposizione per fornire
indicazioni puntuali nei casi che comportino qualche difficoltà. 8. Le confraternite che non svolgono attività, non
hanno più sodali né riescono ad aggregarne di nuovi entro un ragionevole
termine fissato dal Vescovo, devono essere eliminate dall'ordinamento
canonico. Resta fermo che dette confraternita, non avendo
ancora avuto il riconoscimento civile dei fine di culto, secondo le norme
di derivazione concordataria sono regolate dalla legge dello Stato e non
possono essere soppresse con effetti nell'ordinamento civile attraverso un
decreto del Vescovo diocesano. Nel caso che tali confraternite non abbiano alcun
patrimonio è sufficiente che il Vescovo con proprio decreto revochi il
riconoscimento e la personalità giuridica nell'ordinamento canonico ai
sensi del can. 120, § I. A livello civile resterà un
"simulacro" di confraternita, finché la competente autorità
non provvederà ad estinguerlo. Nel caso invece che una confraternita possieda dei
beni, e questi siano amministrati da un commissario nominato dal Vescovo
diocesano, non è possibile la soppressione con devoluzione del patrimonio
da parte dell'autorità ecclesiastica, perché l'ente è sotto la
vigilanza dell'autorità civile. Non è possibile neppure l'accertamento
del fine di culto se prima non viene ricostituita l'assemblea dei sodali e
ripresa l'attività. Non resta perciò che fare ogni sforzo per
ricostituire la confraternita e chiedere l'accertamento dei fine di culto
nel rispetto di tutti i requisiti indicati nella Circolare Ministeriale n.
111/1998. Talvolta può anche verificarsi che un Parroco
abbia amministrato i beni intestati a una Confraternita ritenendoli di
pertinenza della "Parrocchia"; in tal caso potrebbero essere
maturati i termini dell'usucapione al 3 giugno 1985. L'usucapione avrà
corso, se riconosciuta con sentenza dichiarativa dei Tribunale civile
competente: a favore dell'I.D.S.C. quale successore del beneficio
parrocchiale, se il parroco amministratore ne ha goduto i redditi
pacificamente e in buona fede; a favore dell'ente parrocchia quale ente
successore della chiesa parrocchiale, se i redditi furono
continuativamente versati alla cassa parrocchiale. Considerata la complessità della disciplina
illustrata, questo Comitato resta disponibile a prestare la propria
collaborazione per la soluzione dei casi più difficili. *****************************************
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