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Il Pappagallo del Capitano |
CAP. XI Airone e Falco Nero
Quella mattina Pietro non aveva
voglia di andare a scuola. Si lamentava che non aveva dormito bene, che
gli faceva un po' male qui, che gli faceva un po' male qua. In realtà
stava benone, ma aveva voglia di fare vacanza. Sempre a studiare, sempre
a faticare, uffa. Poi lui era bravo a scuola, lui sapeva già tutto
quello che la maestra avrebbe dovuto spiegare quel giorno Perché
allora andare a scuola? Meglio stare a casa a giocare, a riposare.
Ma mamma Susanna non era facile
da convincere. Pietro non aveva la febbre ed aveva mangiato con appetito.
Probabilmente cercava solo delle scuse per stare a casa. "Vedi Pietro -
gli disse la mamma - a te ora sembra che stare a casa un giorno da scuola
non voglia dire gran ché. Domani potrai andare e ricuperare. Ma
non è così. Non c'è mai abbastanza tempo per fare
tutto quello che si deve fare. E poi se tu cominci ora a lamentarti che
sei stanco, che hai troppo da fare, cosa potrai dire quando sarai più
grande e la vita diventerà veramente più difficile? Se uno
non comincia da piccolo a sentire il senso del dovere, a dedicare tutte
le sue energie a crescere bene, non sarà poi troppo tardi per rimediare?"
La porta del salotto del nonno
era aperta. Si vede che Cocorito era già sveglio, anche se a guardarlo
sembrava che stesse sempre dormendo. Si vede che aveva sentito tutto quel
che Pietro aveva detto per stare a casa e la risposta della mamma. Così,
si sentì arrivare dallo studio un gracchiare forte dapprima di parole
indistinte, poi belle chiare:
Il buon giorno si vede dal mattino
La nonna che aveva assistito alla scena senza dire niente, quando sentì il commento di Cocorito, non poté non aggiungere anche lei un proverbio. "Si caro Pietro, ha ragione Cocorito. E poi ricordati che anche se hai tanto tempo davanti a te per imparare, per diventare grande, se incominci bene faticherai poi meno dopo. C'è un vecchio proverbio che dice 'Chi ben comincia è a metà dell'opera'. Come vedi i proverbi non li sa solo Cocorito."
Pietro pensò che tutto sommato era meglio andare a scuola che stare a casa a sorbirsi tutti i proverbi della nonna: " Mi è passato mamma, mi è passato tutto. Vado a scuola. E tu nonna preparati una storia per i tuoi proverbi per questa sera."
La nonna dopo cena fece finta di
dimenticarsi che doveva raccontare una storia, ma non se ne era dimenticato
Pietro: "Com'è nonna che faceva il proverbio di Cocorito, 'Quando
c'è il sole fa bello ed esci senza ombrello'? E cosa centra con
il tuo proverbio, quello dell'opera a metà?"
"Non cercare di fare il furbo tu,
due soldi di cacio. Hai capito benissimo quello che voleva dire sia il
proverbio di Cocorito che il mio. Comunque se non l'hai capito ho una storia
per te che potrà meglio chiarirti le idee. Venite di là tu
e Sara che vi conto la storia dei due cavalli. E ricordatevi, 'Chi
sguazza in gioventù, stenta in vecchiaia'."
Quando ero piccola noi vivevamo in
campagna. Allora c'erano già delle auto, ma ce ne erano poche e
l'avevano solo i ricchi. Non è come adesso che tutti... Ma lasciamo
perdere quello che c'è adesso. Una volta per spostarsi si usava
il cavallo.
Mio padre aveva una stalla con più
di un cavallo. Due erano molto grossi ed
erano cavalli da tiro. Servivano per trainare dei carri per il trasporto
dei materiali nella campagna, il concime, il fieno, le barbabietole od
altro. Aveva però anche una cavallina bigia, che si chiamava Bianchina.
La utilizzava per tirare un calesse per il trasporto di persone. Sul calesse
ci stavano tre
persone, ma con noi piccoli ci si stava anche in quattro o cinque. Alla
domenica salivamo, tutta la famiglia, sul calesse per andare in paese a
messa. Ma anche il venerdì, che era giorno di mercato il papà
portava la mamma in paese e, se non eravamo a scuola, a volte portava anche
me e mio fratello.
Per curare i cavalli, in stalla c'era
un vecchio stalliere. Era piccolo di statura e magrissimo. Si chiamava
Ruggine. Quello veramente era il nomignolo dello stalliere. Forse aveva
anche un nome da cristiano, ma noi tutti lo chiamavamo Ruggine. Forse gli
avevano dato quel soprannome per via delle lentiggini che gli coprivano
tutto il corpo, almeno quella parte, viso e braccia, che si poteva vedere.
Da giovane aveva fatto il fantino e di cavalli se ne intendeva. Ora che
era vecchio era venuto a stare da noi e lì passava il suo tempo
a curare i nostri cavalli.
Lui amava tutti i cavalli, anche quelli
grossi da tiro. Ma la cavallina bigia era la sua passione. Era ormai un
po' vecchia, ma ancora molto bella ed in gamba. Così snella e così
pronta ad andare al trotto gli ricordava i suoi cavalli da corsa, quelli
della sua giovinezza.
Quando lo vedevamo che strigliava
e puliva con tanta cura la cavallina in cortile, noi gli giravamo attorno
cercando di stuzzicarlo perché ci raccontasse un po' dei suoi tempi,
delle sue avventure come fantino, delle corse a cui aveva partecipato e
delle vittorie che aveva ottenuto. Non so se tutto quello che raccontava
fosse vero, ma lo raccontava così bene come se fossero proprio cose
che lui aveva vissuto direttamente. In ogni caso noi gli credevamo.
Quando spazzolava Bianchina o gli metteva addosso una coperta quando rientrava da un giro in calesse, le faceva sempre dei complimenti. "Tu sei proprio una brava cavallina. Forse ai tuoi tempi avrai magari anche corso un poco. In ogni caso si vede che sei stata allevata bene, che non hai mai avuto grilli per la testa." A noi che stavamo a sentirlo diceva: "Eh, sì, cari ragazzi, i cavalli spesso ne hanno di grilli per la testa. Soprattutto se sono dei puledri che promettono bene, che hanno tutti i requisiti per diventare dei campioni alle corse. Allora è importante stargli dietro, non dargli troppi vizi, educarli al sacrificio, fargli fare ogni giorno gli esercizi necessari perché crescano ancora più forti e corrano più veloci. Come dice il proverbio "Giovane senza esercizio, va presto in precipizio." Si vede che Bianchina ha avuta un buon stalliere che l'ha allevata bene, che l'ha educata bene, che le ha fatto passare i grilli se per caso ne avesse avuto per la testa. Vero la mia Bianchina?"
Allora noi bambini dicevamo al vecchio
stalliere: "Contaci un po', Ruggine, dai, contaci dei cavalli che hai curato
e che avevano dei grilli per la testa."
Il vecchio, quando aveva ritirato
Bianchina nella stalla, le aveva distribuito bene il fieno nella mangiatoia,
si sedeva fuori sotto il portico e cominciava a raccontare dei suoi tempi.
Io ero giovane allora - diceva - ero
ancora un garzone di stalla, non facevo ancora il fantino che cavalca i
cavalli nelle corse. Già allora tutti mi chiamavano Ruggine. Mi
venivano affidati dei cavalli da curare e da portare al maneggio. Montavo
anche in groppa al cavallo per farlo correre o saltare. E già lì
bisognava stare attenti. Se il cavallo capiva che non eri ben saldo in
sella si divertiva a farti cadere. Ad un certo punto mentre andava al trotto
si metteva
a correre al galoppo, e se non eri ben saldo cadevi giù da sella
come un sacco di patate. Ed io dico che i cavalli si divertivano un mondo
a far cadere il cavaliere se ci riuscivano. Quando eri caduto si fermavano,
ritornavano indietro e ti giravano intorno. Aprivano la bocca con quei
loro grandi denti e nitrivano, nitrivano in modo strano. Secondo me se
la ridevano, se la ridevano come matti. Se vuoi fare il fantino però
impari presto a stare in sella, a non far ridacchiare i cavalli.
Nella nostra scuderia - sapete ragazzi che le stalle in cui si allevano cavalli da corsa si chiamano scuderie - vi erano tanti cavalli. Alcuni erano dei veri campioni. Quelli là era sempre il loro fantino a curarli. Non li davano certo ad un giovane come me. Invece se c'erano dei nuovi arrivi, dei puledri da far diventare grandi per vedere che doti avevano per la corsa, allora quelli li davano da curare a noi ragazzotti di stalla. E così noi crescevamo assieme ai puledri. Se capitava un puledro bravo, quando poi lui era maturo per le corse, magari anche il ragazzotto che lo aveva curato da puledro, veniva promosso fantino e gli veniva destinato proprio quel nuovo campione da far correre.
Un giorno arrivò nella scuderia
un puledro tutto bianco, con un pelo che aveva dei riflessi rosa. Forse
era per questo che lo avevano chiamato Airone. E dopo qualche giorno che
era da noi e che io lo portavo almaneggio
capimmo subito che il nome era azzeccato non solo per il colore, ma anche
per come correva. Pareva che volasse quando lo stuzzicavo dopo avergli
fatto fare un po' di maneggio e lo portavo sulla pista della scuderia.
In poco tempo divenne così
bravo, andava così forte che sia lui che io non avevamo più
tanta voglia di fare tutti quegli esercizi al maneggio, di stare ore ed
ore a girare al piccolo trotto, come ci faceva fare il capo stalliere,
ogni giorno, ci fosse il sole o tirasse vento.
"Deve farsi i muscoli, ci vuole pazienza.
Verrà anche per lui il suo tempo per correre. Per ora è ancora
presto." Così mi diceva il capo stalliere quando io gli dicevo che
secondo me Airone era già pronto per correre. Airone era del mio
parere e non aveva più tanta voglia di ubbidire. Dopo un po' di
maneggio diventava nervoso, si metteva a trottare più forte, si
fermava di colpo. Solo se io gli montavo in sella e gli davo il via al
galoppo lui era soddisfatto e partiva come il vento. Ma il vecchio stalliere,
che ci osservava da lontano, quando tornavamo alla stalla ci sgridava tutti
e due. Sgridava anzitutto me, che dovevo stare agli ordini e non fare di
testa mia. E poi faceva la ramanzina anche al cavallo. Gli parlava in un
orecchio, dicendogli che se continuava così sprecava tutto, che
avrebbe finito come...
Nonna Bruna smise di raccontare.
Pietro e Sara lì per lì non capirono perché la nonna
avesse smesso. Poi sentirono un piccolo sibilo e
videro che la nonna aveva la testa
reclinata. "Nonna, nonna, non ti addormentare, continua con la storia!"
Nonna Bruna sollevò la testa
e continuò:
"Falco Nero correva più veloce di tutti gli altri puledri..."
"Ma nonna, chi è Falco
Nero? Ci stavi parlando dello stalliere, di Ruggine, che raccontava di
Airone, ma non ci hai detto di Falco Nero."
"Ah, sì - disse nonna Bruna
ora che era del tutto sveglia - eppure mi sembrava... Insomma se state
un po' zitti e non mi interrompete sempre...
Il capo di Ruggine, il vecchio stalliere responsabile di tutta la scuderia, gli disse che se non avesse ubbidito agli ordini sarebbe capitato come a Falco Nero.
E' chiaro ora? Adesso lasciamo che Ruggine vada avanti con il suo racconto."
Il vecchio stalliere, il capo di tutti noi, si chiamava Pedro, anzi si faceva chiamare Segnor Pedro. Proprio alla spagnola, sì, perché lui era stato ai suoi tempi un grande fantino che aveva lavorato per una grande scuderia in Spagna. Poi da vecchio era venuto da noi a fare il capo stalliere. Ogni tanto ci raccontava le sue avventure e noi ragazzotti di stalla ci mettevamo attorno a lui ad ascoltare. Lui si sedeva su una balla di paglia, si faceva portare una birra che beveva intingendo dentro al bicchiere i suoi grandi baffi bianchi e raccontava. E' così che ho saputo la storia di Falco Nero.
Era un puledro arabo tutto nero, quando
arrivò alla scuderia del Segnor Pedro, che allora era un ragazzotto
come me e che tutti chiamavano Pedro e non Segnor come lui voleva che ora
noi lo chiamassimo. Falco Nero venne
assegnato a Pedro che doveva tenerlo pulito, strigliarlo, dargli da mangiare,
fargli fare gli esercizi al maneggio mattina e pomeriggio.
"Che cavallo Falco Nero" ci diceva
il Segnor Pedro. "In tutta la mia lunga vita non ne ho visto uno simile.
Ed era ben convinto di essere un grande corridore fin dall'inizio, quando
era ancora puledro. Quindi lui voleva correre, non voleva saperne di fare
il maneggio. Ed io gli davo retta e lo facevo correre. Tutti nella scuderia
erano innamorati di Falco Nero e tutti gli perdonavano i suoi capricci.
Quindi lasciavano che si sfogasse a correre. Ed io sempre in sella. Orami
eravamo divenuti inseparabili.
Veramente qualche vecchio stalliere c'era che diceva di stare attenti, che così il cavallo veniva viziato, che non avrebbe sviluppato i muscoli non solo per correre forte, ma per correre a lungo, per resistere tutta una corsa. 'Va forte va forte - dicevano quei vecchi - ma poi non ce la farà ad arrivare fino in fondo al traguardo. Vedrete, vedrete. Non si diventa maestri in un giorno.' Ma nessuno dava loro retta. Poi sempre a raccontare dei proverbi. Erano solo dei vecchi brontoloni, come ora pensate che lo sia io."
Così diceva il Segnor Pedro a noi ragazzotti. In effetti io pensavo che anche lui fosse un vecchio brontolone e che invece Airone era bene che corresse, era già pronto per le gare, per le grandi corse. Ma il Segnor Pedro non mi dava retta. E continuava con la storia di Falco nero.
"Un bel giorno, quindi, il capo della scuderia decise che era ora di far correre Falco Nero, di farlo partecipare alla prima grande gara, ed io dovevo essere il suo fantino. Immaginatevi, ragazzi, la mia felicità. Ma poi, ma poi..."
Qui nonna Bruna smise di raccontare.
Reclinò la testa, emise un sibilo... "Ma nonna, nonna Bruna, ti
sei di nuovo addormentata! Sveglia!"
Nonna Bruna rialzò il capo
e continuò.
Airone quindi crebbe sano e forte e solo quando fu abbastanza grande e veramente pronto partecipò alle gare. E le vinse, le vinse tutte, o quasi tutte.
"Adesso a nanna, bambini. La storia
ve l'ho raccontata."
"Ma nonna, non hai finito con Falco
Nero. Non ci hai detto cosa ha combinato. Ti sei addormentata. Ed anche
di Airone non ci hai detto nulla." "Io addormentata? Voi piuttosto vi sarete
addormentati e così non avete sentito tutta la storia. Ma io vi
ha raccontato tutto. Basta adesso. A nanna."
Pietro e Sara non erano d'accordo.
"Nonna, guarda che ti viene il naso lungo come a Pinocchio. Tu dici delle
bugie. Tu ti sei addormentata e hai saltato la parte più bella della
storia di Falco Nero. Non ci abbiamo capito niente. Anche Cocorito non
ha capito niente. Vedi che non dice il proverbio come di solito fa alla
fine di ogni storia?"
In effetti Cocorito non sembrava
tanto contento. Saltellava da destra a sinistra, scuoteva il capo, ed alla
fine disse: "Che pasticcio, che pasticcio."
Ma la nonna, imperterrita: "Si
vede che anche Cocorito si era addormentato. La morale della storia c'è
ed è chiara. Vi ho già detto qualche proverbio mentre ve
la raccontavo. Se volete ve ne dico io un altro a conclusione della storia:
Gioventù disordinata fa vecchiaia tribolata
Ed ora tutti a nanna."
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