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Il Pappagallo del Capitano |
CAP. VIII L'omino della neve sul trattore
Il giorno dopo fu un tempo da lupi.
Sara non andava ancora a scuola e rimase tappata in casa tutta la mattina,
nella sua stanza con la faccia attaccata alla finestra a vedere i lampi
squarciare le nubi nere come caligine.
Pietro, invece, con una mantellina
verde lunga che gli arrivava fino a terra per non bagnarsi, era andato
a scuola come tutti i giorni. Quando tornò, malgrado la mantella
e gli stivali, era fradicio.
Mamma Susanna lo asciugò
un poco, brontolando: "Ma non è possibile che ti sia tutto bagnato
così. E' vero che tira vento e piove di traverso. Ma scommetto che
vi siete fermati a giocare tu e quegli scavezzacolli dei tuoi amici. Magari
vi siete fermati sotto le gronde rotte delle case a fare la doccia sotto
la cascata d'acqua che ne scende." "Ma no, mamma, ma no. Sono venuto a
casa subito. E' il vento, è il vento."
"Va là, va là, che
ti conosco bene io, o mio bel moscardino."
Il pomeriggio Pietro lo passò
in casa. Fuori sempre tuoni e lampi. "Dove sarà il nonno ora, mamma?",
chiese Pietro. La mamma non rispose, ma la nonna Bruna che era un po' preoccupata
a dire il vero a pensare al nonno là in mezzo al mare con questo
tempo, rispose: "Tra qualche settimana sarà di ritorno. Lui ora
si trova nel mare dei Sargassi. Là ci dev'essere bel tempo. Là
non piove mai e soprattutto non nevica, come da noi."
"Ma nonna, disse Pietro, anche
qui da noi al mare non nevica."
"Qui no, ma dove sono nata io,
sì. Certe nevicate!"
"Raccontaci, raccontaci, nonna",
dissero in coro Sara e Pietro.
"Adesso è ora di mettersi
a tavola per cena", intervenne la mamma. "Dopo cena la nonna viene di là
con voi nel salotto del nonno e vi conterà del suo tempo e della
neve. Chissà che Cocorito non abbia anche lui qualcosa da dire,
quando avrà sentito le storie della nonna."
Quella sera Pietro e Sara mangiarono
più in fretta del solito. Non ci fu bisogno che la mamma dicesse,
mangia questo, mangia quello, smettila di scendere dalla sedia, stai seduto
bene a tavola, usa bene la forchetta. Sia Sara che Pietro sembravano due
esempi di educazione e di buon appetito.
Appena finito, scesero insieme
da tavola, andarono vicino alla nonna e la tirarono per le braccia, Sara
da una parte e Pietro dall'altra: "Adesso andiamo, nonna, adesso ci devi
raccontare di quando nevicava al tuo paese."
Nonna Bruna, a dire il vero, se
ne sarebbe stata lì seduta tranquilla ancora un po'. Ma come si
fa...
Dì là nel salotto del nonno si sedettero tutti e tre sul divano di vecchia pelle, la nonna in mezzo e Sara e Pietro dalle due parti. "Vi racconterò la storia di un ragazzo che stava nella corte dove abitavo anch'io. Si chiamava Ginetto."
Quell'inverno ne era venuta di neve,
ma tanta, così tanta che arrivava alle finestre del pian terreno.
Abitavamo, la mia famiglia e quella di Ginetto, in una grande cascina,
una fattoria in mezzo alla campagna. La cascina era un grande quadrato.
Le case tutte intorno ed in mezzo una grande corte. Da un lato del quadrato
c'era la mia casa e quella di Ginetto, a sinistra c'erano le stalle, a
destra un portico con tutti gli attrezzi per i lavori in campagna e dei
trattori, in fondo c'era il fienile e nel mezzo un bel portone che portava
fuori nei campi. Mio padre ed il padre di Ginetto erano contadini. Nella
corte c'erano tanti bambini, i miei fratelli e quelli di Ginetto. Insieme
giocavamo e facevamo tanto chiasso.
Con
tutta quella neve era però difficile uscire. Ce ne stavamo volentieri
in casa vicino al fuoco a scaldarci. Ginetto era il più grande di
noi, avrà avuto allora dieci anni. Aiutava suo papà quando
non andava a scuola.
Quella volta, con tutta quella neve,
per potersi muovere il papà di Ginetto prese il trattore piccolo,
quello con i cingoli che si muoveva dappertutto su qualsiasi terreno e
gli mise due cingoli ancora più grandi, fatti di listelli di legno
legati assieme. Immaginate che fossero due specie di soprascarpe per la
neve. Con quei cingoli che sporgevano fuori dal trattore almeno mezzo metro,
ci si poteva muovere sopra la neve che era un piacere. Il papà di
Ginetto si fece aiutare da lui a mettere i cingoli, poi assieme salirono
sul trattore e se ne andarono a girare per i campi. Noi li vedevamo dalla
finestra. Che bello sarebbe stato anche per noi essere là in mezzo
al bianco dei campi su quel trattore.
Quel pomeriggio ce ne stavamo a giocare
tutti assieme nel fienile. Là, era un posto abbastanza caldo con
tutto quel fieno. C'era anche Ginetto. "Perché non ci porti sul
trattore, Ginetto", gli chiese uno di noi. Ginetto aveva imparato a guidare
il trattore. Ma ci stava sempre suo padre con lui. Non glielo aveva mai
lasciato guidare da solo. "Non posso, mio papà non mi lascia."
"Ma dai, adesso sono tutti impegnati
nel lavoro nella stalla a mungere. Nessuno se ne accorgerebbe. Dai, portaci
un poco." Così dicemmo tutti in coro.
Ginetto che in realtà anche
lui aveva una voglia matta di andare sul trattore in mezzo alla neve, disse:
"Va bene, ma solo tu e tu. Gli altri sono troppo piccoli." I due scelti
eravamo io e mio fratello Paolino. Gli altri più piccoli frignarono
un poco, ma poi si accontentarono di venir fuori a vedere come avremmo
fatto.
Il trattore era un vecchio diesel.
Per farlo partire a freddo occorreva dargli
un cicchetto, come dicevano i grandi. Cioè si doveva versare un
po' di benzina in un piccolo foro sulla testa del motore. Giannino lo aveva
fatto tante volte. Lo fece anche allora. Uno scoppio, due scoppi e poi
ecco che il diesel si mise in moto. Noi saltammo su. Giannino prese in
mano le due leve. Sul trattore a cingoli non c'è il volante, ma
due lunghe leve. Se tiri quella di destra, si muove il cingolo di destra
ed il trattore gira a sinistra, se tiri quella di sinistra si muove il
cingolo di sinistra, quello di destra sta fermo e quindi il trattore va
a destra. Chiaro?"
Pietro e Sara non ci avevano capito
molto, ma mossero la testa in segno
affermativo. Anzi Pietro confermò: "Con la leva di destra svolti
a destra.." "No, no - interruppe la nonna - con la leva di destra svolti
a sinistra, con quella di sinistra... Ma insomma. Non importa. L'importante
era che Ginetto sapeva come guidare il trattore.
Giannino tirò la leva di destra
ed il trattore si mosse verso il centro del cortile, poi lasciò
le due leve al centro ed il trattore si infilò dritto di corsa nel
portone e poi fuori nella campagna. Mamma mia che bellezza! Avevamo l'aria
gelida in faccia, ma chi se ne accorgeva?
Con tutta quella neve non si distingueva
più la strada. Il trattore andava dritto sui campi. Sotto ci stava
il grano, ma la neve era così alta che i cingoli non arrivavano
fino alla terra, se no avrebbero rovinato il grano. Poi Ginetto, tirò
la leva di destra, poi quella di sinistra, poi quella di destra, e così
andavamo a zig-zag. Ogni volta che faceva un giro, noi gridavamo: "Aiuto,
aiuto," e ci tenevamo saldi ad una sbarra che stava sul cruscotto del trattore.
Ma che divertimento!
Intanto nella cascina se ne erano accorti.
Avevano sentito l'improvviso rumore del trattore. Ma prima che gli uomini
fossero usciti dalle stalle, noi eravamo già fuori dal portone.
Con tutta quella neve, a piedi non potevano correrci dietro. Erano tutti
là, in fila sul portone, i papà, le mamme, i fratellini.
Tutti gridavano: "Tornate indietro, tornate indietro."
Noi eravamo un po' preoccupati per
la nostra scappatella. Chissà che cosa ci avrebbero fatto al ritorno.
Ginetto, smise di fare zig-zag e diresse il trattore verso la cascina.
Andava però adagio. Quando fummo vicini al portone, Ginetto fermò
il trattore. Guardò preoccupato suo padre.
Questi era più preoccupato
di lui. Tirò un sospiro di sollievo a vedere che non ci eravamo
fatti niente. "Non aver paura, Ginetto. Non ti picchio, non ti faccio niente,
per questa volta. Su da bravo, entra in cortile."
A quella formale promessa di pace,
Ginetto spinse sull'acceleratore e rientrò nel cortile e poi guidò
il trattore sotto il portico.
Noi scendemmo giù. Di fronte
stavano le mamme ed i papà. "Vi meritereste delle belle botte. Ma
per stavolta vi perdoniamo. Non fatelo più però. Intesi?"
Mogi, mogi ce ne ritornammo a casa.
Qui le prediche furono lunghe, che avevamo corso un bel pericolo, che il
trattore poteva andare in un fosso o contro un albero, che per loro sarebbe
stato difficile con tutta quella neve e senza trattore venirci in aiuto.
E poi che i trattori sono macchine da grandi, che ci vuole la patente per
guidarli, eccetera, eccetera.
Il giorno dopo, nevicò ancora.
Il giorno dopo ancora. Il terzo giorno invece
venne un bel sole. Tutta quella neve brillava sotto il sole. Che bello
sarebbe stato andarci in mezzo con il trattore.
Eravamo nel fienile a giocare. C'eravamo
tutti, anche i più piccoli. Noi tre grandi ci guardammo negli occhi,
senza dire niente. Ma ci eravamo capiti subito. Senza fracasso tutti e
tre uscimmo dal fienile. I più piccoli erano là che continuavano
a giocare a nascondino e non si accorsero che ce ne eravamo andati. Sotto
il portico salimmo sul trattore a cingoli. Il motore era ancora caldo perché
il papà di Ginetto lo aveva appena usato. Non c'era bisogno pertanto
di dargli il cicchetto con la benzina per metterlo in moto. Ginetto schiacciò
il pulsante e subito il motore partì. E via in fretta, nel cortile,
poi fuori nei campi. Oramai eravamo degli esperti. Incitavamo Ginetto a
correre, a girare, ad andare a zig-zag. Gli
uomini nelle stalle non sembrarono essersi accorti di niente, almeno fino
allora. Sarà stata la musica nelle stalle a coprire il rumore del
trattore. Infatti, dovete sapere che per far fare più latte alle
mucche avevano scoperto che se si suonava della musica le mucche erano
più tranquille e il latte veniva meglio e più abbondante.
Almeno così pensavano i grandi. Tant'è vero che avevano messo
un sistema di altoparlanti nelle stalle e suonava, suonava.
Ginetto pensò che forse l'avremmo
fatta franca. Così dopo un po', girò il trattore verso la
cascina e zitti, zitti - per quanto si possa dire che il trattore fosse
silenzioso - ce ne ritornammo dentro il portone nel cortile. Che fortuna,
non c'era nessuno. Nessuno se n'era accorto. Almeno così pareva.
L'atmosfera era particolarmente calma. Troppo calma...
Avevamo appena messo piede a terra,
che ecco saltare fuori da dietro i grandi pilastri che reggevano il tetto
del portico, mio papà ed il papà di Ginetto. Io riuscii a
svignarmela, ma mio fratello Paolino e Ginetto vennero afferrati dai rispettivi
papà. Io tremavo tutta, ma me ne stavo nascosta dietro un pilastro
a guardare la scena. Mio papà ed il papà di Ginetto si tolsero
la cintola dai pantaloni, calarono giù le brache di Paolino e di
Ginetto e giù cinghiate sulle gambe. Ginetto e Paolino si misero
a strillare come aquile. Le mamme uscirono di casa. Per un po' non dissero
niente.
Ai miei tempi, cari bambini, i genitori
non scherzavano. Se si faceva qualcosa che non andava, erano botte. Nei
casi più gravi erano cinghiate sulle gambe. Questo trattamento,
veramente, era riservato ai ragazzi. Alle bambine erano solo sculacciate.
Il segno delle cinghiate ti rimaneva per un bel po' sulle gambe. Pare che
proprio per questo i papà avevano inventato il metodo delle cinghiate.
Se il dolore passa subito che castigo è? Ma però non esageravano
mai. Anche perché ad un certo punto intervenivano le mamme. "Ora
basta, ora basta."
Anche quella volta dopo un po', presero
i bambini, mia mamma prese Paolino e l'altra prese Ginetto. Avevano in
mano, come sempre in quei casi, delle pezzuole bagnate nell'olio. Sfregarono
le pezzuole sui segni delle cinghiate. "Adesso basta, tra un po' il dolore
vi passerà."
Poi Ginetto e Paolino si tirarono
su i pantaloni ed entrarono in casa. In quei momenti il silenzio era sovrano.
Nessuno dei bambini osava fiatare, ognuno improvvisamente sembrava essere
occupato, avere qualcosa di importante da fare.
Comunque, anche quel giorno passò,
venne la sera, si andò a letto. Non so quanto Paolino e Ginetto
riuscissero a dormire con quei segni sulle gambe. Ma il mattino dopo si
dovettero alzare come sempre, vestirsi ed andare a scuola.
Passò qualche giorno, Tutti
si erano dimenticati dell'episodio, del castigo. La neve cominciava a sciogliersi
sotto il sole di quei giorni. Poi il cielo si rannuvolò di nuovo,
di nuovo nevicò. E con quel bel bianco pulito che aveva ricoperto
tutto, a Ginetto riprese voglia di andare per i campi con il trattore.
Anche a noi a dire il vero. Ma il ricordo della scena finale, era troppo
viva. "No, no, noi non veniamo", dicemmo sia io che Paolino.
Ginetto sgattaiolò da solo
fuori dal fienile. Noi lo guardavamo da là sopra. Prese la benzina,
diede il cicchetto al motore. Partì. Subito dopo era fuori del portone
nei campi. Ma se la neve sembrava bella solida come allora, in realtà
vi era solo lo strato sottile dell'ultima nevicata che era compatto. Sotto
la neve era fradicia. Così fu traditrice.
Ad un certo punto, il trattore che
era andato fuori strada, sbandò sul ciglio di un fosso ed andò
a sbattere contro una grossa quercia stracarica di neve.
Con l'urto, tutta quella neve cadde addosso a Ginetto e lo seppellì
assieme al trattore. Ma poiché il motore continuava a girare, il
trattore si spostò, si mise ad andare dritto dritto. Per fortuna
la direzione che prese era quella del portone del cortile. Sul trattore
si vedeva un grosso cumulo di neve che via via prendeva le sembianze di
un omino: una palla tonda in alto, un grosso blocco di neve in basso. Quando
finalmente il trattore arrivò nel cortile sembrò dover andare
a sbattere contro il muro di fronte. Per fortuna si fermò da solo
proprio in mezzo alla corte. Si vede che era finito il gasolio.
Noi tutti, i papà e le mamme.
i fratellini e le sorelline eravamo là in mezzo alla corte attorno
al trattore su cui c'era immobile un omino della neve. Ginetto era là
sotto, ma la neve era ghiacciata e lui non si poteva muovere. Sotto la
testa dell'omino si intravedevano due occhi che si muovevano disperatamente
a destra e a sinistra, in cerca di aiuto. Ma la bocca di Ginetto era tappata
dalla neve e non poteva gridare.
Fu difficile per noi non scoppiare
a ridere. Cominciarono i più piccoli:
"L'omino della neve, l'omino della neve." Poi io andai a prendere una scopa,
Paolino un cappello. Salimmo sul trattore, io infilai la scopa nel mucchio
di neve, Paolino gli mise il cappello in testa, La mamma di Ginetto arrivò
con una carota e la ficcò sotto gli occhi nella palla di neve. Ora
era proprio un omino della neve, Cappello, occhi, naso, scopa. Io poi gli
misi la mia sciarpa attorno al collo. E tutti i bambini si misero a girare
in tondo attorno al trattore, e cantavano: "Ecco l'omino, l'omino della
neve, è tutto bianco, ha il cappello in testa , viva viva l'omino,
l'omino della neve." Anche i grandi ridevano e si divertivano.
Non così il povero Ginetto,
almeno a giudicare da come moveva gli occhi disperatamente. Noi saremmo
stati lì ancora a divertirci e a cantare, Ma ci pensò il
caldo del motore del trattore a sciogliere a poco a poco la neve. Prima
cadde la carota e venne fuori il naso vero. Era tutto rosso dal freddo.
Poi finalmente la bocca, da cui uscì il grido: "aiuto, aiuto." Poi
le mani, poi finalmente tutto il corpo. Tutto infreddolito e scotendosi
la neve di dosso, mogio, mogio Ginetto corse in casa, mentre noi tutti
gli ridevamo dietro. "Ti sei divertito a fare l'omino della neve, o Ginetto?"
Ma lui non rispose. Si mise vicino vicino al fuoco del camino. Brrr, brrr
che freddo!
La nonna qui finì. E Cocorito? Cocorito, si doveva essere divertito anche lui. Ma cosa ne sapeva lui della neve? Dove vivono i pappagalli di neve non ce n'è. Ma la morale della storia in ogni caso l'aveva capita. Così si mosse, una zampa a destra, una a sinistra, un gorgheggio e via:
La prima si perdona, la seconda si bastona, la terza si canzona
Sara si era divertita, ma era rimasta
un pò impressionata per le cinghiate: "Ma povero Ginetto e povero
Paolino. Chissà che male quelle cinghiate. Che cattivi i loro papà.
Mio papà Stefano non mi avrebbe picchiato, no mio papà no."
Pietro, acconsentì con la testa. Brutti tempi quelli di allora,
pensò.
"Cara Sara, è vero si era
più severi una volta. Ma forse era meglio allora. Oggi si castiga
troppo poco."
Qui Cocorito volle ancora metterci
il becco, come si dice anche quando si tratta di un uomo, figurarci poi
per un pappagallo:
Chi sempre al figlio perdona,
è causa che non faccia cosa buona
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