Circoscritto nello spazio dell'arco, simile a una materia a metà fra il latte e l'aria, come spinta fuori, spremuta, da un utero tellurico; appena mossa, o danzante nel vuoto pulitissimo, sembra filamento ancora tenero, in attesa -eterna- di cristallizzazione. Venere senz'occhi e senza braccia, che non vede, che non avvolge nel suo abbraccio erotico, eppure, abbracciata, non scivola via fra le mani ma resta, materia ancor grezza, povera terra seppure fine e candida. Intorno, quella folla di metalli ancora impuri, che si animano, ciechi, sulla piattaforma del mondo, cercandosi, purificandosi.
Come icone primitive , nell'erotismo magico dei colori, "sono" ed "emanano"; non ho bisogno di comprenderli in me: erano già dentro; possono solo uscire.
Là dietro, lì in mezzo, percepire il mistero. Solo quanto basta a dare il senso della prigionia nel senso. La mia guida è la struttura, la mia libertà è quella porta che il desiderio mi indica e apre. Meravigliosa adolescenza del mio sguardo! Io suono per chi sa vedere!
Il rigore degli spazi, i tempi cadenzati dal ritmo delle macchine che producono le schegge matematiche dell'eternità. Macchine senza liquidi, movimenti lubrificati solo dall'idea del movimento.
Oh, tutto tace intorno a te! Tutto si inchina. Simulacro potente dal nome infinito. Con te attendo l'istante del volo. Di fronte a te attendo. Ogni mio grido scivola sulle tue superfici così lisce che riflettono il mondo. Liquide superfici, che hanno catturato ogni anima che vi si è riflessa. L'anno resa lirica, l'hanno dorata, l'hanno soffiata nell'ininterrotto sibilo della voce invisibile dell'uccello sacro.
Apocalisse dei simboli. Non mi è dato il ricordare. Posso solo ripetere, e scagliarmi in quel volo che mi è stato promesso.
© C. Ronco 1997. Tutti i diritti riservati.Vuoi leggere di Calcutta?...o di David Popper in America?
Il giardino di sera