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così bella e fatata ti ho visto per un attimo e mi sono affezionata. Quei tuoi occhi chiari brillare nel sole notavo, estasiata restavo senza parole.
Laura Oriunno (scritta a nove anni) E' forse una mucca o un serpente meno insensibile al dolore?
Si tratta della mia "memoria" sullUltimo Teorema di Fermat, probabilmente lunica mia pubblicazione scientifica nel campo della "pura" Matematica. Certo, non è cosa da poco, e per tale motivo troverai allinterno di essa tante dediche. Prima di tutto a Carla e Gabriella, che in questi venti anni di passione per la Storia della Matematica non solo mi hanno "sopportato" e accompagnato in questo mio viaggio meraviglioso nel mondo dei numeri, ma mi hanno anche incoraggiato e sostenuto nei momenti più difficili come quello successivo allannuncio della dimostrazione di Andrew Wiles del 1993. Mi ricordo ancora che Carla mi diceva con affetto: "Ma il tuo sogno non era in fondo quello di ritrovare la dimostrazione che aveva in mente P. de Fermat ? Ciò non mi pare sia stato ancora raggiunto, allora perché desistere ? " Una seconda dedica rilevante nella mia "memoria" è dovuta al ruolo che avuto, in questi lunghi diciassette anni di studio solitario della Teoria dei Numeri, uno dei miei più grandi maestri : Leonhard Euler. Ma in concreto, Euler è stato il mio secondo maestro, poiché il mio primo grande maestro sei stato tu. E non solo per quanto attiene la Matematica, ma sei stato soprattutto un maestro di vita. Ma ora permettimi di concludere questa mia lettera con una bella favola, che forse nel 1998 potrebbe diventare realtà , infatti non ci scordiamo che oggi siamo qui, tutti riuniti, perché è NATALE. "UNA FIABA DI NATALE"![]()
Ma purtroppo questo è un Amore difficile, e la "donna"- Storia della Matematica - ha qualche difficoltà a corrispondere questo Amore. Andrea la segue da tempo, ma ella si è allontanata sempre di più e nonostante sia stata invocata più volte, nulla fa sperare che questo amore profondo venga un giorno corrisposto. Ci voleva un Lasciapassare, ovvero un personaggio grandissimo , o meglio qualcuno che fosse già nelle grazie di questa "donna" ( cioè la Storia della Matematica). Andrea è stato fortunato : ha scelto Leonhard EULER e l'ha studiato con tanta passione e ammirazione da farlo commuovere ed intercedere per lui presso questa "donna". Questa "donna" ha risposto quindi affermativamente al suo richiamo e credo oramai che il nome di questo piccolo dilettante troverà certamente un posto proprio nella Storia della Matematica. E ciò che lo rende ancora più felice, è che non sarà solo : In quanto, giustamente, il nome di Andrea Ossicini verrà sempre e comunque legato al nome di suo padre : Alessandro Ossicini. Buon Natale Papà tuo figlio Andrea Roma, 25 dicembre 1997.
![]() Il cammino era molto lungo; dovevano salire una collina, il sole picchiava forte ed erano sudati e assetati. A una curva della strada, videro un portone magnifico, di marmo, che conduceva a una piazza pavimentata con blocchi d'oro, al centro della quale s'innalzava una fontana da cui sgorgava dell'acqua cristallina. Il viandante si rivolse all'uomo che sorvegliava l'entrata. "Buongiorno" "Buongiorno" rispose il guardiano. "Che luogo, è mai questo, tanto bello?" "E' il cielo" "Che bello essere arrivati in cielo, abbiamo tanta sete!" "Puoi entrare e bere a volontà" Il guardiano indicò la fontana. "Anche il mio cavallo ed il mio cane hanno sete" "Mi dispiace molto" disse il guardiano, "ma qui non è permesso l'entrata agli animali". L'uomo fu molto deluso: la sua sete era grande, ma non avrebbe mai bevuto da solo. Ringraziò il guardiano e proseguì. " Dopo avere camminato a lungo su per la collina, il viandante e gli animali giunsero in un luogo il cui ingresso era costituito da una vecchia porta, che si apriva su un sentiero di terra battuta, fiancheggiato da alberi. All'ombra di uno di essi era sdraiato un uomo che portava un cappello; probabilmente era addormentato. "Buongiorno" disse il viandante. L'uomo fece un cenno con il capo. "Io, il mio cavallo ed il mio cane abbiamo molta sete". "C'è una fonte fra quei massi" disse l'uomo e , indicando il luogo, aggiunse: "Potete bere a volontà". ![]() "L'uomo, il cavallo ed il cane si avvicinarono alla fonte e si dissetarono. Il viandante andò a ringraziare. "Tornate quando volete" rispose l'uomo. "A proposito, come si chiama questo posto?" "Cielo" "Cielo? Ma il guardiano del portone di marmo ha detto che il cielo era quella là!" "Quello non è il cielo, è l'inferno". Il viandante rimase perplesso. "Dovreste proibire loro di utilizzare il vostro nome! Di certo, questa falsa informazione causa grandi confusioni! "Assolutamente no. In realtà, ci fanno un grande favore. Perché là si fermano tutti quelli che non esitano ad abbandonare i loro migliori amici...." Dall'ultimo libro di Paulo Coelho (coelho significa "coniglio"?)
Perché che deve inventarsi un gatto in un appartamento vuoto? Farsi le unghie sulle pareti. Strusciarsi ai mobili. Come se qui niente fosse mutato, eppure qualcosa è cambiato. Come se niente fosse stato spostato, eppure qualcosa non è al suo posto. E alla sera la lampada non splende più. Si sentono passi sulle scale, ma non sono quelli. La mano che mette il pesce sul piattino non è la mano che lo metteva. E c'è qualcosa che non comincia alla sua solita ora. E c'è qualcosa che non accade come dovrebbe. Qui per tanto tempo c'è stato qualcuno ma poi improvvisamente è scomparso, e testardo continua a non esserci. Si è guardato in ogni armadio. Corso su ogni scaffale. Ci si è infilati sotto il tappeto e controllato. Si è persino infranto il divieto, e sparso ovunque i fogli. Che altro c'è da fare? Dormire, aspettare. Che si provi soltanto a tornare, che si faccia soltanto vedere. Imparerà, sì, che questo a un gatto non lo si fa.
Si andrà verso di lui, proprio come se non se ne avesse alcuna voglia, pian , pianino, su zampe molto offese. E tanto per cominciare niente salti, miagolii. Wislawa Szymborska dalla raccolta "Koniec i poczatek" 8la fine e l'inizio) 1993
che ci camminiano addosso sordi e ciechi ci muoviamo un milione in un sacco di tela
nati della stessa mamma, una carogna tutti bianchi, piccoli, uguali con due occhietti sul culo e una testa frenetica antenna
ah, perché non senti mai il nostro milione di piccole grida le nostre minuscole bestemmie mentre a manciate ci lanci nell'acqua? ti hanno mai infilato in un amo piegato, stretto, sbudellato e mandato giù nel profondo ad aspettare un gola spalancata?
non senti? appoggia la mano al tuo sacco di tela questo brivido che per te significa che siamo ancora freschi e vivi
invece è il nostro ultimo grido la morte che ci fa tremare
accidenti a te, pescatore che in eterno tu possa strisciare che la grande carpa ti stianchi nella sua bocca finale
Stefano Benni da "Prima o poi l'amore arriva" poesie Universale Economica Feltrinelli
Non giocattoli sul tappeto, non ossa sulla sedia. Non un furioso latrare se un visitatore mi chiama. Non uno che mi saluta, soltanto silenzio, nient'altro.
Non pretesti per andare a spasso, non passeggiate nel parco. Non bisognini urgenti a tarda notte, nella pioggia e nel buoi. Non veterinario per la puntura o un controllo. Non ruzzoloni e capriole, tenere guance sul collo.
Non più esuberanza felice e radiosa. Non guinzagli lanciato per gioco. Non più calde coccole a letto o sul grembo. Non impronte di fango a farmi impazzire.
Non profondi occhi bruni a dire " ti prego dammi ancora ". Non la coda che dice vi voglio bene a tutti. Non orecchie di seta a narrare i miei segreti. Non più lingua sulla faccia. Il mio cane non c'è più. Sì. Questo è l'inferno.
Steven Liska (traduzione dall'inglese Pietro Croce)
quei cavalli laggiù. con le orecchie drizzate e i lucenti
Mi chiedo che pensano di me, mi chiedo se gliene può importare. E intanto io siedo, e mi chiedo, e non smetto di guardare. Leanne Wall (una bambina del gruppo giovanile dell'associazione inglese Animal Aid)
che si guarda di qua e di là prima di attraversare la strada. Non ha nulla da ridire:accetta tutto. Non ha dignità da difendere, a causa della bontà. Ecco quindi la mia conclusione: la rassegnazione non ha niente da invidiare all'eroismo.
Pierpaolo Pasolini da "Trasumar e organizzar" (1971)
Pio contro voglia, pio contro natura, Pio per arcadia, pio per eufemismo. Ci vuole un bel coraggio dirmi pio E a dedicarmi perfino un sonetto. Pio sarà Lei professore, Dotto in greco e in latino, Premio Nobel, che Batte alle chiuse imposte con ramicelli di fiori In mancanza di meglio Mentre io m'inchino al gioco, pensi quanto contento. Fosse stato presente quando m'han reso pio Le sarebbe passata la voglia di far versi E a mezzogiorno di mangiare il lesso. O pensa che io non veda, qui sul prato, il mio fratello intero, erto, collerico, Che con un solo colpo delle reni Insemina la mia sorella vacca? Oy Gevàlt! Inaudita violenza La violenza di farmi non violento. 18 Maggio 1984
Primo Levi da "Ad ora incerta" Garzanti 1984 ( Pio. Si allude ai noti versi carducciani. " Gewalt" vale in tedesco "violenza" in jiddissch il termine viene usato principalmente come interiezione, ad esprimere estrema e disperata protesta.)
Ho ucciso una rondine e non so darmi pace I TG sono pieni di storie atroci di uomini. Io mi sento sulla coscienza la vita di un uccellino. Prima di darmi del pazzo, leggete qui.
Quando due anni fa compra questa casa in collina, Guido, il proprietario, me ne mostrò tutti i segreti: la cassetta di legno che aveva fabbricato per il picchio verde, quelle per gli uccelli di passo che scendono a bere nel laghetto e magari c'è una femmina in difficoltà che deve deporre le uova. Poi con una voce strana chiamava le tinche, buttava il pane secco, apriva il palmo della mano e ne sollevava una che si lasciava accarezzare. Promettimi, diceva, che non butterai mai un amo, non sanno cos'è, sarebbe un tradimento. Glielo promisi senza difficoltà e pazientemente cercai di imitare il suo strano richiamo. Poi Guido mi mostrò il pezzo forte. Il garage con i nidi di rondine, i piccoli tutto becco facevano un baccano infernale. Se ci metti la macchina coprila di giornali, mi disse perché la bombardano di guano. Le porte del garage erano chiuse ma le rondini passavano tra le sbarre di una finestrella. Non rallentavano il volo quelle pazze, si mettevano con le ali a coltello, saettando nei varchi, poi con una acrobatica cabrata si portavano nel nido. Mi comprai libri sugli animali e rinfrescai le nozioni del liceo. Le miei rondini erano la specie più diffusa, Hirundo Rustica, lunga 30 cm, testa grande e appiattita, becco largo che giunge lateralmente sotto gli occhi, piumaggio nero con riflessi azzurri sopra e bianco con sfumature ruggine sotto. In settembre le vedevo radunarsi sugli alberi (lì non passano i famosi fili della luce, sono interrarti) e partire in enormi stormi per un fantastico volo verso l'Africa centrale. Molte non avrebbero resistito; prima il mare, poi il deserto spazzato dal ghibli. Le più forti tornavano a primavera, volando alte e orientandosi con il sole e con le stelle, senza la volgare bussola che abbiamo inventato noi, con una mostruosa memoria, ciascuna individuava dall'alto il suo tetto di città, o il rustico, o il fienile dove aveva lasciato il nido, abbandonava lo stormo ed era a casa. Le mie erano le favorite dello specchio del lago e della macchia cupa degli alberi. Guido aveva appeso alle grondaie piccoli trapezi per favorire l'atterraggio. Ma quelle scriteriate si infilavano oblique fra le sbarre a settanta all'ora, estraendo gli aerofreni nell'impennata verso i nidi. Altro che gabbiano Jonathan. Quest'anno ho commesso un'imperdonabile leggerezza ho dimenticato di togliere la lastra di plexiglas con cui d'inverno proteggiamo le covate della gatta e la rondine ci si è schiantata contro. Il telegiornale ci inonda di tragedie che ci commuovono. Ma io ho sulla coscienza anche quella rondine che forse era decollata in Kenya ed era felice di aver raggiunto la sua vecchia casa d'estate. Luca Goldoni da "Faccio un esempio" ( "Sette" n.27- Corriere della Sera 4.7.96)
Nelle rare lezioni che ascoltai quando vagabondavo per le università, le uniche che ebbero il potere di incatenare la mia attenzione, richiamandomi alla coscienza strane e diverse emozioni, mostravano il mirabile codice della specie. Di esso rimanevo stupita come se la spirale della vita fosse un'altra possibile versione della chiave musicale di violino; una sorte di vibrazione sfuggita alla deflagrazione originaria da cui ogni cosa prese forma. Non volli imparare la catena di formule che, intrecciandosi in una magica danza, non ripeteva mai se stessa e con certezza assoluta custodiva l'identità unica di ogni nuova vita. Mi sembrò sempre che la riduzione di un simile prodigio all'apprendimento sterile del nome scientifico, la sua evocazione dotta e assurda nella luce morta dei laboratori, avrebbero aperto, attirandola su di noi, la catena infinita e ottusa del dolore. Bisogna essere molto ciechi per aggiungere nuove sofferenze all'eredità di dolore lasciata da chi è passato prima di noi! Così. quando in un paese qualunque, forse nell'emisfero australe o nel silenzio dimenticato degli Incas, qualcuno ha trovato serbata la chiave della vita nel cuore indifferente di una pietra, come se questa fosse la cellula di un corpo o la memoria atomizzata dell'unica esplosione, io ho avuto la conferma di ciò che sempre pensai. Nello spartito della vita, risuoniamo tutti con un'unica nota le cui vibrazioni mutano impercettibilmente per la materia che ci accade di essere. Allo stesso modo, ho orrore dell'onnipotenza feroce della dogmatica sordità, che traccia il confine tra ciò che è sano e il suo contrario. Tremo di fronte all'arroganza impietosa dei corpi sani, all'oscena prepotenza della loro forza; alla sicumera gloriosa con cui avanzano nell'universo pretendendo di esserne i padroni invulnerabili. Niente è più vano e folle di questa illusione: bisogna essere un po' di pietra e d'albero; un po' di mare e di tuono per ricordassi la nota originaria; bisogna essere un po' mostri per risentire risuonare la meraviglia e l'orrore di altri mondi lontani. In me vive il dubbio che l'errore genetico, da cui prendono vita creature mostruose e tenerissime, piccoli tartari con gli occhi all'insù, dalla memoria prodigiosa di Pico della Mirandola che suonano a volte come angeli, o vecchi-bambini destinati a vivere un quarto di secolo, nascosti come ragni per non offendere la proterva salute dei normali, incarni un'altra razza. O forse creature di altri spazi; abitanti di pianeti lontani, i cui frammenti vitali caddero errando, nel luogo sbagliato. Questo spiegherebbe la malinconia commovente di certi occhi fissati nel vuoto, che guardano mondi perduti e sorridono solo a essi resistendo a tutte le seduzioni della nostra inutile umanità. La Follia infine, non so se i suoi segni siano iscritti nall'abbraccio elicoidale della vita e neanche se appartenga al codice segreto di un'altra specie precipitata sulla terra. Credo piuttosto che essa sia un tramite; un sesto senso rimasto aperto per vocazione o per destino, dove le mostruosità svelano la propria origine autentica. In altri luoghi, lontani dagli orridi tavoli vivisettori che in nome della scienza profanano oscenamente i misteri della vita e della morte; in altri tempi da quelli in cui l'angoscia ci stringe a vivere, i folli furono celebrati come creature divine, nelle quali circolava libera la sapienza onnisciente. Erano tempi e luoghi dove la sadica struttura normativa che ci conculca non aveva ancora vinto né aveva ancora sedotto l'intera umanità al peccato originario dell'invidia e della pestilenza della sua vanità coattiva. Così essa non tollera che una creatura fugga al gioco delle rivalità fra uguali e, attraverso l'unicità della sua nascita. Con un ukàse che non ammette eccezioni, l'alieno viene piegato all'annientamento dei suoi mondi e il veleno sottile dell'invidia raggiunge il suo centro creativo distruggendo le centraline. Ridotto a un'oscurità senza mostri e a un silenzio senza presagi, finalmente appartiene alla specie. Mariateresa Di Lascia da "Passaggio in ombra" Editore Feltrinelli Collana i Narratori
(Traduzione di una lettera di Edgar Kupfer-Koberwitz che nel campo di concentramento di Dachau passò tra crudeltà di ogni genere, mentre la morte ghermiva i prigionieri del campo giorno dopo giorno. da "Radical Vegetarianism di M.M.Braustein- King Kong n 3)
mi chiedi perché non mangio carne e ti domandi per quale ragione mi comporto così. Forse pensi che ho fatto un voto o una penitenza che mi priva di tutti i piaceri gloriosi del mangiar carne. Pensi a bistecche gustose, pesci saporiti, prosciutti profumati, salse e mille altre meraviglie che deliziano gli umani palati; certamente ricordi la delicatezza del pollo arrostito. Vedi io rifiuto tutti questi piaceri e tu pensi che solo una penitenza o un voto solenne, o un grande sacrificio possa indurmi a negare questo modo di godere la vita e che mi costringa ad una rinuncia. Sei sorpreso, chiedi:- Ma perché e per quale motivo?. Te lo chiedi con intensa curiosità e pensi di indovinare la risposta. Ma se io ora cerco di spiegare la ragione in una frase concisa tu rimarrai nuovamente sorpreso vedendo quanto sei lontano dal vero motivo. Ascolta: IO RIFIUTO DI MANGIARE ANIMALI PERCHE' NON POSSO NUTRIRMI CON LA SOFFERENZA E LA MORTE DI ALTRE CREATURE. Rifiuto di farlo perché ho sofferto tanto dolorosamente che le sofferenze degli altri mi portano alle mie sofferenze. So che cos'è la felicità e so che cos'è la persecuzione. Se nessuno mi perseguita perché dovrei perseguitare altri esseri o far sì che vengano perseguitati? So cos'è la libertà e so cos'è la prigionia. So cos'è la protezione e so cos'è la sofferenza. So cos'è il rispetto e so cos'è uccidere. Se nessuno mi fa del male perché dovrei fare del male ad altre creature o permettere che facciano loro del male? Se nessuno vuole uccidermi perché dovrei uccidere altre creature o permettere che vengano ferite o uccise per il mio piacere o per convenienza? Non è naturale che io non infligga ad altre creature ciò che io spero non venga inflitto a me? Non sarebbe estremamente ingiusto fare questo per il motivo di un piacere fisico a spese della sofferenza altrui e dell'altrui morte? Queste creature sono più piccole e più indifese di me, ma puoi tu immaginare un uomo ragionevole con nobili sentimenti che volesse basare su questa sofferenza la rivendicazione o il diritto di abusare del più debole e del più piccolo? Non credi che sia proprio il dovere del più forte, del superiore di proteggere le creature più deboli invece di perseguitarle e di ucciderle? " Noblesse oblige". Ed io voglio comportarmi nobilmente. Ricordo l'epoca orribile dell'inquisizione e mi dispiace dire che il tempo dei tribunali per gli eretici non è passato, che giorno per giorno gli uomini cucinano in acque bollenti altre creature che sono state date impotenti nelle mani dei loro carnefici. Sono inorridito che uomini simili sono civili, non rudi barbari, non dei primitivi. Ma nonostante tutto essi sono primitivamente civilizzati, primitivamente adagiati nel loro ambiente culturale. Sproloquiando, sorridendo, proponendo grandi idee e facendo bei discorsi, l'europeo medio commette ogni sorta di crudeltà e non perché sia costretto, ma perché vuole fare ciò. Non perché manchi della facoltà di riflettere e di rendersi conto delle orribili cose che sta facendo. Oh no! Soltanto non vuole vedere i fatti, altrimenti ne sarebbe infastidito e disturbato nei suoi piaceri. So che la gente considera certi atti connessi al macellare come inevitabili. MA C'è REALMENTE QUESTA NECESSITA'? La tesi può essere contestata. Forse esiste un genere di necessità per le persone che non hanno sviluppato ancora una piena coscienza e personalità. Io non faccio loro delle prediche, scrivo a te questa lettera, ad un individuo responsabile che controlla i suoi impulsi, che si sente conscio -internamente ed esteriormente- dei suoi atti e che sa che la Corte Suprema è nella nostra coscienza e che non vi è ricorso in appello. E' NECESSARIO CHE UN UOMO RESPONSABILE SIA INDOTTO A MACELLARE? In caso affermativo ogni individuo dovrebbe avere il coraggio di farlo con le proprie mani. E' un genere di miserabile codardia quello di pagare altra gente per fare questo lavoro macchiato di sangue, del quale l'uomo normale si ritrae inorridito e sgomento. Questa gente è pagata per il loro lavoro ed altri acquistano da loro le parti desiderate dell'animale ucciso- possibilmente preparato in modo da non ricordare l'animale, il fatto che è stato ucciso. Io penso che gli uomini saranno uccisi e torturati fino a quando gli animali saranno uccisi e torturati e che fino allora ci saranno le guerre, poiché l'addestramento e il perfezionamento dell'uccidere deve essere fatto moralmente e tecnicamente su esseri piccoli. Penso che ci saranno prigioni finche gli animali saranno tenuti in gabbia, poiché per tenere in gabbia i prigionieri bisogna addestrarsi e perfezionarsi tecnicamente su piccoli esseri. Non vedo alcuna ragione di sentirci oltraggiati per i grandi e i piccoli atti di violenza e crudeltà commessi da altri. M penso che sia giunto il momento di sentirci oltraggiati dai grandi e piccoli atti di violenza e crudeltà che noi stessi commettiamo. Ed essendo molto più facile vincere le piccole battaglie, penso che dovremmo cercare di spezzare prima i nostri legami con le piccole violenze e crudeltà per superale una volta per sempre. Poi verrà il giorno che sarà facile per noi combattere anche le crudeltà più grandi. Mai noi tutti siamo addormentati in abitudini e attitudini ereditate, che ci aiutano ad ingoiare le nostre crudeltà senza sentirne l'amaro. Non ho alcuna intenzione di accusare persone o situazioni. Ma penso che sia mio dovere stimolare la mia coscienza nelle piccole cose, migliorare me stesso e essere meno egoista, per essere poi in grado di agire in coerenza nei problemi più importanti. Il punto è questo: io voglio vivere in un mondo migliore dove una più alta legge conceda felicità a tutti. In un modo dove regni il comandamento di Dio:- AMATE GLI UNI GLI ALTRI-. di Edgar Kupfer- Koberwitz
La vita è un'opportunità, coglila. La vita è bellezza, ammirala. La vita è beatitudine, assaporala. La vita è un sogno, fanne una realtà. La vita è una sfida, affrontala. La vita è un dovere, compilo. La vita è un gioco, giocalo. La vita è preziosa, abbine cura. La vita è una ricchezza, conservala. La vita è amore, godine.
( quadro di Claudio Poleschi) La vita è mistero, scoprilo. La vita è promessa, adempila. La vita è tristezza, superala. La vita è un inno, cantalo. La vita è una lotta, accettala. La vita è una tragedia, afferrala corpo a corpo. La vita è un'avventura, rischiala. La vita è felicità, meritala. La vita è la vita, difendila.
di Madre Teresa di Calcutta
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