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CAP. IV Il cerbiatto e le corna lunghe
La sera dopo Pietro non vedeva l'ora
di andare nello studio del nonno per sentire un'altra storia e quel che
avrebbe avuto da dire Cocorito. Ancora prima che il nonno lo seguisse,
Pietro era salito su una sedia e aveva messo lo straccio nero sullo specchio.
Cocorito, non attese molto e cominciò
la solita cantilena: "Voglio una storia..."
In quel mentre entrò il
nonno, prese la pipa e si sedette sulla poltrona di cuoio che aveva fatto
tanti viaggi con lui per il mare sulla sua nave, ma che ora era diventata
troppo vecchia, con le molle troppo scassate, per sopportare ancora il
mare. Caricò la pipa lentamente. Intanto Cocorito continuava con
la sua richiesta strascicando la voce nasale.
Ma il nonno non perse la calma.
Accese la pipa, tirò tre boccate lunghe finché il fumo uscì
bello denso dalla bocca. Poi disse: "Vediamo un po' che storia possiamo
raccontare. Ah, sì, quella del cerbiatto che voleva crescere troppo
in fretta."
Cerbino era un cerbiatto che aveva
finito da poco di prendere il latte dalla mamma. Ora si arrangiava da solo
a brucare l'erba più tenera dei prati o ad assaggiare le piccole
foglie degli arbusti del bosco.
Faceva come aveva visto fare dal papà cervo e dalla mamma cerva.
Ma oltre a girare per i prati e per i boschi in cerca di roba da mangiare,
Cerbino passava molto tempo a giocare, a correre dietro alle lepri che
si nascondevano dentro i cespugli.
C'erano anche dei gatti selvatici
che erano diventati suoi amici. Uno in particolare. Ogni tanto gli saltava
in groppa e lui correva facendo grandi salti finché riusciva a farlo
cadere. Ed allora erano grandi risate. Anzi, no, sarebbero state grandi
risate se i cerbiatti e i gatti sapessero ridere, ma siccome non sanno
ridere... Insomma non ridevano, ma si divertivano lo stesso un mondo.
La mamma ed il papà lo lasciavano
correre e divertirsi, purché non si allontanasse troppo. Ogni tanto
lo chiamavano e lui doveva rispondere. "Sono qua - diceva - sto giocando
con il mio amico gatto." Oppure: "Vengo subito. Prima però devo
scoprire dove si è nascosto il leprotto." Tutto
questo lo diceva nel linguaggio dei cervi, che noi non capiamo, ma che
tra di loro capiscono benissimo.
Per cercare il leprotto si doveva
infilare in mezzo ai cespugli, sempre di corsa, grattando con il dorso
gli alberi se erano vicino uno all'altro. Ma lui era ancora piccolo e riusciva
sempre a passare, anche quando il cespuglio era folto, o gli alberi troppo
vicini.
E così Cerbino viveva felice.
Però aveva un cruccio, le sue corna.
Le sue corna erano molto piccole.
Quasi quasi non si vedevano neanche, mentre quelle di papà cervo
erano grandissime. Sembravano quasi due alberi pieni di rami piantati nella
testa.
Papà cervo era orgoglioso delle
sue corna. Certamente erano le più belle in tutto il bosco. Almeno
così pensava la mamma cerva. Ed era proprio per quelle corna che
da giovane si era innamorata e poi l'aveva sposato.
Papà cervo, con le sue corna
maestose, camminava lentamente nei sentieri del bosco. Gli animali che
incontrava si fermavano a guardarlo, ad ammirare quelle corna. Era lui
il re del bosco. Veramente, se ci fosse stato un leone, il re sarebbe stato
lui. Ma nel bosco di leoni non c'era neanche l'ombra e così il posto
di re spettava al cervo.
Cerbino era crucciato perché
avrebbe anche lui voluto avere delle corna grandi e belle come quelle di
papà. E si lamentava: "Perché, papà, anch'io non ho
le corna grandi come le tue?"
"Devi avere pazienza Cerbino - gli
diceva il babbo - quando sarai grande, anche tu avrai delle corna magnifiche."
"Ma io non voglio aspettare quando
sarò grande. Le voglio subito le corna come le tue."
Papà cervo sorrideva e non
rispondeva. Ma Cerbino ogni giorno continuava con la stessa solfa. "Papà,
perché non posso avere anch'io le corna come le tue? Ormai sono
abbastanza grande, non prendo più il latte dalla mamma. Ormai cerco
da solo l'erba da mangiare. Voglio anch'io allora avere le corna come le
tue."
Un bel giorno, papà cervo, stanco
di sentire suo figlio cerbiatto lamentarsi per quella storia delle corna,
gli disse: "Ma sei proprio sicuro che vuoi avere subito delle corna come
le mie?" "Sì, papà, sono proprio sicuro. Le voglio come le
tue."
"Ma guarda Cerbino - cercava di convincerlo
il babbo - che delle corna così grosse su un corpo ancora piccolo
come il tuo ti potranno dare fastidio. Anche molto fastidio. Sei proprio
sicuro allora?"
Poiché Cerbino insisteva che
sì, che a lui le corna non avrebbero dato nessun fastidio, che proprio
le voleva, allora papà cervo andò a cercare il vecchio mago
cervo.
Questi arrivò il giorno dopo.
Aveva anche lui delle corna grandi, ma con meno rami di quelle del papà.
"Vedi - disse il mago cervo a Cerbino - anch'io un tempo avevo delle corna
con tanti rami come quelle di tuo papà. Ma ora sono vecchio e a
poco a poco perdo dei rami. Ma non mi lamento. Sono contento lo stesso.
Perché anche tu non ti accontenti delle tue corna e non vuoi aspettare
di essere più grande?"
Cerbino, sbuffò. La predica
glie l'aveva già fatta più volte papà, ma lui le corna
le voleva subito. "Va bene - disse mago cervo - se proprio insisti ti accontenterò."
Detto fatto. Si avvicinò ad
un albero e con un ramo delle sue corna strisciò contro la corteccia
fino a farvi degli strani segni. Quelle corna erano la sua bacchetta magica.
Mentre così faceva, pronunciò la formula magica: "QUACIC,
QUACIC". La disse nel dialetto degli antichi cervi e così Cerbino
non capì. Ma appena il mago ebbe finito con la formula magica, Cerbino
sentì un grande prurito in testa e poi subito dopo la testa molto
pesante.
C'era un lago lì vicino e Cerbino
andò a specchiarsi nell'acqua. Non si
riconosceva più. Anche lui aveva su quella sua testolina un grande
paio di corna. Proprio come quelle di suo padre. Tutto contento, si mise
a correre per andare a mostrarle ai suoi amichetti, al leprotto, al gatto
selvatico. Fece un salto, ma si trovò disteso per terra a gambe
all'aria.
Papà, mamma ed il mago cervo
scoppiarono dal ridere a vederlo cadere. Anzi, no, perché i cervi
non sanno ridere. Ma si divertirono lo stesso moltissimo.
La testa di Cerbino era troppo piccola
per stare in equilibrio con tutto quel peso, e certo era ora molto difficile
correre senza cadere. Cerbino si alzò a gran fatica e, un po' barcollando
ma sempre felice, si avviò nel bosco.
Il gatto selvatico, quando lo vide
prese paura e scappò. Ma Cerbino lo rincorse: "Sono io, sono il
tuo amico Cerbino." Il gatto però si infilò in mezzo ad un
cespuglio posto tra due alberi dove c'era anche il leprotto. Di solito
era là che si nascondevano e Cerbino sempre si infilava anche lui
in mezzo ai cespugli per rincorrere i suoi amici. E così fece anche
quella volta.
"Ahi, ahi, aiuto, soccorso!" Era Cerbino
che gridava.
Papà, mamma ed il mago accorsero.
Videro Cerbino incastrato in mezzo ai due alberi che non poteva più
né andare avanti né indietro. Quando aveva le sue piccole
corna che quasi si confondevano con le orecchie, Cerbino passava dappertutto
dove passava il suo corpo. Ma ora con quelle enormi corna ogni passaggio
era troppo stretto.
Come suo padre avrebbe dovuto camminare solo in mezzo ai sentieri, e che
fossero anche belli larghi.
Papà, mamma ed il mago avevano
voglia di ridere a vedere Cerbino intrappolato in mezzo ai due alberi senza
potersi più muovere. Per fortuna che non potevano ridere, se no
Cerbino si sarebbe offeso.
"Aiuto, papà, aiuto! Tirami
fuori di qui."
"Ma perché, non sei capace
di uscire da solo?", fece con tono ironico il mago cervo. "No, no, sono
queste maledette corna!"
"Ma se sono le corna che tanto desideravi."
"Sì, lo so, ma non pensavo
che non potessi più muovermi, non più correre dietro ai miei
amici."
"Ma le corna ce l'ha anche tuo papà
e lui è contento di averle," fece sempre il mago.
"Si, ma mio papà non deve correre
dietro al leprotto ed al gatto selvatico. Lui non deve infilarsi nei cespugli,
io sì."
"E allora, cosa vuoi che facciamo?
Ti piacciono sempre le corna, vero?"
"Sì, sì, mi sono visto
riflesso nell'acqua del lago e mi sembrano bellissime."
"Ed allora tienile," disse sempre
il mago.
"Sì, però voglio uscire
di qui," piagnucolò Cerbino.
"Per uscire di lì dobbiamo
tagliare le corna. Sei contento che le tagliamo?"
"Voglio tornare come prima, con le
mie piccole, belle corna."
Il mago cervo allora strisciò
le proprie corna contro la corteccia di un albero, pronunciò la
formula magica, ma la pronunciò all'incontrario della prima volta,
perchè solo così la magia poteva venire disfatta: "CICAUQ,
CICAUQ." Comunque anche così Cerbino non poté capire perché
era in dialetto antico.
Cerbino si trovò improvvisamente
libero. Dalla contentezza fece un salto così alto che batté
la fronte e le sue piccole corna contro il ramo basso di un albero. Ma
poi di corsa dietro ai suoi amici, il gatto ed il leprotto. E correva così
forte che subito fu lontano e non poté sentire quello che il mago
cervo gli stava urlando dietro. Ma certamente sarà stata una predica,
del tipo: "Hai visto cosa succede se..."
Uffaaa!
Qui il nonno si fermò. L'ultima parola spettava al pappagallo. Ma Cocorito sembrava soprappensiero. Pietro stava per dirgli "dai, parla", ma Cocorito non aspettò questa sollecitazione. Un passo a destra, un passo a sinistra, una raschiatina dell'ugola, una scrollatina al ciuffo:
C'é un tempo per ogni cosa, ed ogni cosa va fatta al tempo suo.
Cocorito però non sembrava soddisfatto. Fece qualche gorgheggio, si beccò un'ala dove forse ci stava una pulce, e poi continuò:
Molti, dopo che l'hanno avuto, piangon quel che han voluto.
"Ma nonno - disse subito Pietro
- questa volta sono due i proverbi."
"Ma no. In realtà la morale
della storia è una sola. Non bisogna anticipare i tempi, bisogna
avere pazienza ed aspettare che sia giunto il proprio turno. Il secondo
proverbio dice inoltre che se si vuole qualche cosa che non ci spetta,
dopo ce ne possiamo pentire."