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 Il Pappagallo del Capitano

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CAP. IX   Il mozzo Fortunato e l'isola del tesoro

Il giorno dopo erano già tutti a tavola quando si sentì bussare alla finestra. Non era proprio un bussare, ma un tic-tic, tic-tic. Pietro fu il primo a girarsi, e subito gridò: "Mamma, nonna, è uno dei piccioni viaggiatori del nonno. Sì, lo riconosco, è proprio uno di quelli del nonno."

C'è da dire che il nonno Lucio teneva una piccionaia con dei piccioni viaggiatori. Quando partiva per dei lunghi viaggi in nave, ne portava sempre qualcuno con sé in una gabbia. Quando voleva mandare dei messaggi a casa, anche da molto lontano, anche da in mezzo al mare, liberava uno dei piccioni, vi attaccava un tubicino al collo con dentro uno scritto e lo lasciava andare, gli dava una spinta verso il cielo. Ed il piccione allora via a volare, dritto, dritto, alto su nel cielo. Anche da molto lontano, anche da migliaia di chilometri lui sapeva in che direzione andare. E volava, volava fino a morire dalla stanchezza, ma non cessava mai fintanto che non era arrivato là, a casa, dove era la sua piccionaia, dove l'aspettavano mamma colomba ed i suoi piccioncini.

La mamma, la nonna e Sara tutte eccitate si erano alzate da tavola. Pietro aveva già aperto la finestra ed il piccione era riuscito a fare un ultimo salto, poi sfinito si era posato proprio in mezzo alla tavola. Di lì non si mosse più. Era esausto per la fatica. Chissà quante migliaia di chilometri, anzi di miglia come dicevano i marinai, aveva volato.
Mamma Susanna per prima cosa prese un piattino e vi versò un po' d'acqua. Il piccione alzò la testolina e con il becco la sorseggiò. Nel frattempo la mamma era andata a prendere dei grani di miglio che piacevano tanto ai piccioni. Li tenne nella mano aperta che avvicinò al becco del piccione. Questi beccò, beccò fino all'ultimo chicco. Poi si riprese, si raddrizzò. Appeso al collo vi era un cilindretto. La nonna prese il piccione in grembo e delicatamente disfece il nodo del nastro cui era attaccato il tubicino. Il piccione, compiuto così il suo dovere di messaggero, si alzò, volò fuori dalla finestra e finalmente andò a riposarsi nella sua piccionaia, tra la sua famigliola.

Sara e Pietro erano ansiosi di aprire il tubicino e di sapere cosa vi fosse dentro. Anche la mamma e la nonna lo erano, ma lo davano meno a vedere. Comunque, mamma Susanna delicatamente riuscì a togliere dal tubicino un rotolo di carta, tutto avvolto stretto stretto. Sembrava quasi una sigaretta. Ma era un lungo foglio, piegato e arrotolato. Era tutto scritto, davanti e dietro, fitto, fitto con una scrittura nitida. Proprio la scrittura del nonno.
Nonna Bruna si mise gli occhiali, prese lei il foglio e si mise a leggere:

"Carissimi tutti, siamo qui fermi in mezzo al mare dei Sargassi. Non spira un alito di vento da giorni. Speriamo che tra poco il vento si decida a riapparire e così il veliero si muoverà, finalmente. Siamo sulla via del ritorno, ma ci vorrà ancora un bel mese prima di essere a casa. Così ho pensato di mandarvi mie notizie tramite uno dei nostri bravi piccioni. Arriverà a casa certo prima di noi.
Sulla nave stiamo tutti bene. Ho tanti regali per ognuno di voi. Ho anche un bel regalo per Cocorito. Gli ho trovato una bella compagna, una pappagalla tutta giallo, azzurro e verde. Penso che gli piacerà molto.
A proposito, Pietro, gli hai contato delle storie? E Cocorito ha sempre risposto con i suoi proverbi? Oppure le tue storie sono così sconclusionate, senza capo ne coda come l'ultima volta quando glie l'abbiamo raccontata insieme, ed il povero Cocorito non avrà saputo cosa rispondere?
Mentre sono qui che aspetto che torni il vento ho pensato di scrivertene una io di storia. E' una storia vera e ci sono almeno tre proverbi che sono adatti per tirarne la morale. Vediamo se Cocorito riuscirà a dirli tutti e tre.
Vi abbraccio tutti.
Ecco la storia, è vera, è la storia del mozzo del mio brigantino.

Qui Pietro disse: "Andiamo tutti di là da Cocorito a leggere la storia del nonno." E così tutti e quattro di là, a disturbare il povero pappagallo che a quell'ora era in piena siesta.

Il nostro mozzo era un ragazzino minuto, ma pieno di energia. Si chiamava Celeste, ma tutti noi, perché il nome ci sembrava strano - tra l'altro Celeste aveva degli occhi nerissimi - lo chiamavamo Fortunato. Sì, proprio Fortunato, perché lui riusciva a pescare tanti pesci e belli grossi. Gli altri marinai invece a fatica tiravano su qualche pesciolino, quando nei turni di libertà si sporgevano con la canna dal bordo della nave.
Il mozzo è sempre il più giovane tra i marinai e a lui tocca fare tutti i mestieri, anche i più umili: lavare la tolda, sbucciare le patate, rifare la camera del capitano, lustrare gli ottoni nella sala degli ufficiali. Ma Fortunato era sempre pronto, svelto, faceva tutto in fretta e bene. Un bravo ragazzo e tutti gli volevamo bene. Presto avrebbe imparato tutti i segreti del navigare e sarebbe diventato un vero marinaio.
Era lui anche che saliva su, svelto come un gatto, sulla rotonda in cima all'albero di maestra per guardare lontano se c'era qualcosa da segnalare. Ed un giorno infatti...

Ma prima di dirvi di quel giorno, vi devo raccontare perché era così bravo a prendere i pesci con la canna. Non era perché fosse più fortunato degli altri. Il fatto è che lui si alzava alla mattina presto, quando tutti gli altri marinai dormivano, salvo quelli che erano di guardia. Pare che a quell'ora, ancora prima che il sole esca fuori dal suo nascondiglio per navigare nel cielo, i pesci salgano dal fondo del mare in superficie per cercare del cibo. I pasci hanno fame, pare, di prima mattina, appena si svegliano. Ed ecco allora lui a gettare appeso al filo della sua canna una bella esca: un vermetto, uno scampo, un pezzetto di pesce. Fatto sta che i pesci abboccavano, e come! Quando gli altri marinai gettavano l'amo, il sole era ormai alto in cielo ed i pesci se ne erano discesi in fondo al mare. Quindi non era perché fosse fortunato che il mozzo riusciva a pescare dei grandi e bei pesci...

Qui Cocorito sembrò svegliarsi. Nessuno gli aveva chiesto niente, ma lui non poté trattenersi dallo scodellare belle e pronto il proverbio adatto:

Chi dorme non piglia pesci, chi dorme non piglia..

"E uno", esclamò Pietro. "Bravo Cocorito." Ma la nonna spazientita disse: "Allora vado avanti o no?" Cocorito sembrò brontolare qualcosa, ma poi ritirò il collo dentro il petto. La nonna riprese a leggere la lettera del nonno.

Ma torniamo a quel giorno in cui Fortunato lanciò un grido dall'alto del albero di maestra. Bisogna dire che erano tanti giorni che navigavamo senza mai vedere terra e che in quel tratto di mare le carte nautiche non segnalavano nessuna isola. Fu per quello che Fortunato gridò più forte del  solito, "Terra, terra!", ed era così contento che fece dei salti là su in alto e per poco non cadde giù dal piccolo balconcino di vedetta che sta in cima all'albero.
A quel grido io presi il cannocchiale, quello che si allunga e che fa vedere tutto capovolto. Ed in effetti si vedeva ormai ben chiaro a una decina di miglia dalla nave una terra emergere dal mare. Era un'isola, o almeno così sembrava. Fortunato continuava a gridare da lassù: "E' l'isola del tesoro, è l'isola del tesoro."

Dovete sapere che tutti i marinai credono che esista un'isola del tesoro e sanno anche descriverne la forma. Da lontano dovrebbe apparire una montagna centrale con altre due a fianco, una un po' più bassa dell'altra. Sempre secondo le voci che i marinai si passavano di padre in figlio, quell'isola non era segnata nelle carte nautiche per evitare che la si andasse a cercare apposta. All'isola ci si poteva arrivare solo per caso, incontrandola sul proprio cammino quando si pensava che tutto attorno ci fosse solo mare. E così fu per noi quella volta.

Io rifeci col sestante il punto in cui si trovava la nostra nave e poi andai giù in cabina di comando a controllare sulle carte nautiche. In effetti secondo le carte non ci doveva essere nessuna isola per almeno alcune centinaia di miglia di distanza.

La forma dell'isola che ormai appariva ben nitida davanti a noi era proprio quella descritta per l'isola del tesoro, una montagna alta al centro con due montagne più piccole una a destra ed una a sinistra ed una delle due era un po' più bassa dell'altra. Che fosse proprio vero che esistesse l'isola del tesoro? Fino allora io avevo creduto che fosse una delle tante storie che i marinai raccontavano per passare il tempo nelle lunghe serate di bonaccia in mezzo al mare. Decisi allora di andare a vedere da vicino e diedi ordini di dirigersi verso l'isola.
Arrivammo all'isola che ormai il sole era alto in cielo. Vi era una rada tranquilla dove ancorammo la nave. Sulla riva si vedevano delle casupole, delle capanne, e della gente che ci stava guardando. Prendemmo delle scialuppe e scendemmo a terra. Fortunato era venuto con noi. A terra trovammo dei vecchi marinai che ci salutarono, ma senza troppo entusiasmo.
"Dove siamo?", chiesi io al più vecchio, quello che sembrava un po' il capo. "Siete arrivati nella famosa isola del tesoro. Ma state pur tranquilli. Di tesoro non c'è neanche l'ombra. Noi ci siamo arrivati ormai da alcuni anni. Avevamo anche la famosa mappa dell'isola che indicava dove fosse sotterrato il tesoro del capitano Morgan il capo dei pirati del mare dei Sargassi. Trovammo il posto indicato sulla mappa. C'era un bel buco per terra, ma niente tesoro. O è tutto una favola, o qualcuno c'era arrivato prima di noi."

"E come mai siete rimasti qui?", chiesi io. "Non ci sarà il tesoro - mi rispose -ma in quest'isola si sta bene. Con poca fatica si riesce a campare, di pesca e di frutta. Fa sempre bel tempo. E' come essere  sempre in vacanza. Così qualcuno di noi ha deciso di restare. Gli altri se ne sono andati con la nave. Ne sono arrivate altre di navi, anche loro a cercare il tesoro. Poi se ne sono andate sempre lasciando qualcuno qui che voleva restare. Adesso vedremo voi cosa farete."

Fortunato nel frattempo si era mosso, era andato verso il villaggio. Dopo un po' tornò di corsa. "Capitano - mi disse - c'è un posto con una bella cascata di acqua dolce. Potremmo fare tutti il bagno ed accamparci là." Fortunato era proprio un aiuto prezioso. Sempre a darsi da fare per rendersi utile.
Agli abitanti del villaggio dissi: "State tranquilli, non siamo venuti per cercare nessun tesoro. Ci siamo capitati per caso nella vostra isola. Staremo qui qualche giorno per riposarci e poi ripartiremo. I marinai sono stanchi e qualche giorno di riposo farà bene a tutti."

 In effetti i marinai sistemarono subito delle tende, e poiché non era davvero difficile procurarsi da mangiare, bastava cogliere delle banane e i pesci si prendevano con le mani in quella specie di piscina che era là dove Fortunato aveva trovato la cascata. Dormivamo e ci riposavamo più che potevamo. Il mare stanca anche se il tempo è bello. Fa piacere ogni tanto sentire i piedi fermi sulla terra e vien proprio voglia di riposare.

Qualcuno dei marinai aveva fatto un piccolo giro per vedere se per caso non trovasse il famoso tesoro. Ogni tanto scavavano un po' con le mani nella sabbia, ma più per gioco che nella speranza di trovare qualcosa. Ben altri sforzi ci sarebbero voluti per trovare il tesoro. D'altra parte gli abitanti dell'isola ci dicevano continuamente: "Abbiamo cercato dappertutto e non abbiamo trovato niente. Cosa volete trovare voi?"
L'unico che non stava mai fermo, che riposava solo qualche ora di notte, era il mozzo Fortunato. Chiedeva agli abitanti dell'isola se avessero veramente cercato dappertutto, se avessero scavato dappertutto, se fossero andati anche in cima alla montagna a cercare. "In cima alla montagna, no - rispondevano - è troppo difficile andare lassù. C'è una giungla fitta da attraversare con tanti animali pericolosi. E poi perché il capitano Morgan avrebbe dovuto portarsi il tesoro fin lassù? Bastava che lo sotterrasse da qualche parte qui vicino alla riva, sotto qualche albero di cocco."
Ma Fortunato non sembrava molto convinto. Avrebbe avuto voglia di andare anche lassù in cima alla montagna. Se non altro per vedere in un colpo d'occhio tutto il panorama dell'isola.
Inoltre si ricordava di un proverbio che suo nonno sempre gli diceva per spronarlo a darsi da fare, a non fermarsi.

Qui Cocorito non poté resistere alla tentazione di tirar fuori dalla sua gola il proverbio giusto, quello del nonno di Fortunato:

Chi non vuol far fatiche, il terreno gli produce ortiche

E due, disse Pietro. Ma la nonna, non si fermò a rimproverare i disturbatori e continuò la lettura.

Alla mattina Fortunato si alzava sempre all'alba, prima che il sole nascesse all'orizzonte. E se è vero che i pesci in quel posto si prendevano anche durante il giorno, quelli che prendeva lui all'alba erano molto più belli, più grandi e più saporiti degli altri.
Una mattina presto mentre stava pescando, Fortunato guardò la cima della montagna che cominciava a venire illuminata dai raggi del sole che sorgeva in quell'istante dal mare. Ad un certo punto vide un grande bagliore venire proprio da lassù, da un posto nella roccia molto vicino alla cima della montagna più alta. Poi il bagliore finì.
Durante il giorno chiese agli abitanti del villaggio se non se ne fossero mai accorti, e cosa potesse mai essere. Non se ne erano accorti e non avevano certo voglia di svegliarsi all'alba per vedere luccicare le rocce.
La mattina dopo il fenomeno si ripeté. Ed il giorno dopo ancora. Fortunato cercò di convincere qualcuno dei marinai ad alzarsi presto per vedere anche lui. Ne parlò anche con me ed io gli dissi che sarà stata la roccia bagnata dalla rugiada che rifletteva i raggi del sole. Poi quando il sole era più alto la rugiada spariva ed anche il riflesso.
Ma Fortunato non si convinse. "Voglio andare a vedere - disse - voglio capire di cosa si tratta. E se fosse il tesoro?" Tutti si misero a ridere, ma Fortunato si preparò a partire.

Gli abitanti del villaggio lo sconsigliarono. Era pericoloso e faticoso attraversare la giungla. Anch'io cercai di dissuaderlo. Ma visto che non c'era niente da fare, diedi a Fortunato un grosso macete, quella specie di grosso coltellaccio che gli abitanti delle isole dei Caraibi usano per tagliare le canne da zucchero. Me lo aveva regalato uno di loro durante uno dei miei viaggi. "Tieni - dissi a Fortunato - questo ti aiuterà ad aprirti la strada nella giungla ed anche a tenere lontano gli animali con cattive intenzioni."
Quando Fortunato partì eravamo tutti là a fargli le ultime raccomandazioni. Io gli avevo dato anche una pistola a razzi. Se si fosse trovato in cattive situazioni avrebbe dovuto sparare un razzo in cielo e tutti noi saremmo andati in suo soccorso.

Sugli alberi di cocco c'erano anche le scimmie a salutare la partenza di Fortunato, Non vi ho ancora detto che l'isola era piena di scimmie. Facevano un fracasso del diavolo. Sembrava stessero sempre ridendo di noi. Qualche volta si divertivano anche a far cadere delle noci di cocco. Un marinaio se ne prese una sulla testa e fu davvero un bel bernoccolo quello che gli crebbe in fronte. Così stavamo attenti quando sedevamo sotto gli alberi ed ogni tanto guardavamo in su a vedere che intenzioni avessero le scimmie.
Quel giorno sembravano fare più chiasso del solito e si misero a saltare di pianta in pianta seguendo Fortunato che intanto si era inoltrato nella giungla. Sentivamo il rumore del macete che tagliava dei rami bassi, si apriva la strada tra i cespugli. Ed il gridare delle scimmie che si vede avevano proprio deciso di seguire il ragazzo.
Fortunato ci raccontò poi che sulla sua strada nella giungla ad un certo punto era apparso un enorme gattone nero - penso sia stato un puma - che aveva digrignato i denti al vederlo. Ma Fortunato menò il macete per aria ed il gattone nero sparì nel folto della giungla. Più avanti ad un certo punto le scimmie, invece del solito vociare emisero un grido tutte assieme, come per avvertire Fortunato di un pericolo. Lui si girò di scatto e vide un  grosso serpente boa che penzolava da un ramo e stava avvicinandosi pericolosamente. I serpenti boa se ti si attorcigliano attorno poi ti stringono forte forte e sono guai grossi. Fortunato menò il macete in aria e giù a colpire il serpente. Questi fece appena in tempo a tirare indietro la testa. Ma si vede che si era preso una bella paura, perché se ne strisciò via per i fatti suoi.
Quando Fortunato uscì dalla giungla e prese ad arrampicarsi sulla montagna, allora potemmo vederlo. Lui si voltò verso di noi, mise le mani ad imbuto intorno alla bocca e ci gridò: "Capitano, tutto bene. Vedesse che bello da quassù!" Poi continuò ad arrampicarsi. Ad un certo punto girò attorno al monte e non lo vedemmo più.

Solo alla sera di quel giorno risentimmo le grida delle scimmie, quelle che avevano accompagnato Fortunato. E dopo un po' apparve anche lui, il ragazzo. Teneva sulle spalle un qualcosa che sembrava un bauletto, un cofanetto. I marinai gli corsero incontro gridando: "Il tesoro, il tesoro! Fortunato ha trovato il tesoro!"
Tutti facemmo circolo intorno a Fortunato. Aveva posato il bauletto per terra e lo aprì. Però che delusione di tutti! Il bauletto era quasi vuoto. Vi era una carta arrotolata, qualche moneta d'oro ed una collana di perle. "Tutto qua il tesoro?" dicemmo in coro.
Intanto le scimmie sembravano tutte riunite sugli alberi lì attorno e quando Fortunato aveva aperto il bauletto avevano lanciato un grido tutte assieme. Poi continuarono con il loro fracasso un po' più forte del solito, tant'è vero che Fortunato dovette alzare la voce per farsi sentire mentre ci raccontava quello che gli era successo.

Arrivato in cima al monte, proprio nel punto in cui aveva visto quel brillare improvviso al sorgere del sole, vide il bauletto aperto. Il bauletto era di legno ma ricoperto in ottone tutto lustro e quindi rifletteva come uno specchio se colpito dalla luce. Infatti appena arrivato lassù Fortunato subito si accorse del bauletto proprio perché riluceva sotto la luce del sole. Da quaggiù si poteva vedere solo per un momento quando la direzione della luce del sole era tale da venire riflessa proprio verso di noi. Ecco il perché del bagliore solo alla mattina proprio appena sorto il sole.
Il bauletto era aperto e per terra c'era una carta arrotolata, anzi una pergamena come si usava una volta in particolare per descrivere le mappe del tesoro. Se fosse stata di carta, con la pioggia che ci sarà caduta sopra da quando era lì, non si sarebbe letto più niente. Invece la pergamena, fatta con le budella delle pecore, era impermeabile e lo scritto ci rimaneva per anni ed anni senza scolorire. Fortunato subito srotolò la pergamena e vide il disegno di alcune isole. Una era proprio la nostra. Su ognuna una crocetta indicava il posto del tesoro. Come mai, pensò Fortunato, il bauletto era là in alto, mentre il segno della crocetta sull'isola con le tre montagne, la nostra isola, era vicino alla riva del mare? E dov'era andato tutto il tesoro che avrebbe dovuto trovarsi nel bauletto?
Mentre si chiedeva tutto questo Fortunato si accorse che le scimmie, che lo avevano seguito fino allora, quando lui si era avvicinato al bauletto si erano messe a schiamazzare più forte del solito. Guardandosi in giro Fortunato vide per terra qualche moneta d'oro, dei dobloni spagnoli ed una collana di perle. Le raccolse e le mise nel bauletto.

Le scimmie intanto si erano avvicinate e gli saltavano tutte intorno. Fortunato guardando le scimmie vide che qualcuna di loro aveva al collo qualcosa che brillava. Ma sì, erano delle collane, una di perle, un'altra sembrava tutta d'oro. Una scimmia lanciò per aria qualcosa che brillò al sole e poi cadde vicino ai piedi di Fortunato. Era un altro doblone d'oro spagnolo. Fortunato lo raccolse tra lo schiamazzo delle scimmie. Quindi erano state loro, proprio le scimmie a scoprire il tesoro. Avranno preso il bauletto, pensò Fortunato, l'avranno portato fin lassù, l'avranno aperto e poi si saranno messe a giocare con il tesoro, con le monete, con gli smeraldi, con i topazi, con i lapislazzuli. Infatti una scimmia aveva attorno ad una gamba un braccialetto tutto blu proprio come i lapislazzuli.
Avranno giocato, continuò a dirsi Fortunato, a tirarsi dietro i vari pezzi e così avranno disperso tutto il contenuto del bauletto nella giungla, appeso le collane sui rami degli alberi. Forse, a cercare bene sarebbe tornato fuori qualcosa. Per ora Fortunato aveva trovato solo quel poco che aveva rimesso nel cofanetto.

I marinai alla storia di Fortunato si eccitarono tutti. Si misero a guardare le scimmie. Effettivamente a qualcuna sembrava brillare qualcosa attorno al collo ed attorno alle braccia. Qualche marinaio tentò di salire sulle palme per andare a vedere più da vicino, altri presero il fucile per sparare. Ma le scimmie capirono che i tempi stavano per mettersi male per loro e rapidamente sparirono tutte dentro la giungla.

A questo punto come capitano della nave presi la parola: "Calma ragazzi, non perdiamo la testa. Quel poco del tesoro che si poteva trovare là già trovato Fortunato. Il resto sarà sparso dappertutto. Anche se ci mettiamo a cercarlo per un anno intero può darsi che troviamo due o tre dobloni e qualche collana. Non vale certo la pena. Inoltre domani partiamo. Quindi pensate a radunare le vostre cose e tutti poi sulla nave."
I marinai sia pure a mala voglia obbedirono. Fortunato disse: "Capitano, le regalo questa collana. I dobloni ce li dividiamo tra noi, sono di tutti marinai. Berremo alla sua salute quando andremo a terra in qualche porto." I marinai batterono le mani tutti contenti: "Evviva il nostro Fortunato."

La collana di perle è quella che regalai a nonna Bruna di ritorno da quel viaggio, e che lei si mette al collo ogni volta che io ritorno. Però non le ho mai detto come l'avevo ottenuta. Ora sapete la verità.

Tornati sulla nave facemmo vela verso il porto dell'isola più vicina che mostrava la carta nautica.
Fortunato venne da me nella sala di comando con la sua pergamena. Voleva che lo aiutassi a vedere dove si trovavano le altre isole che erano segnate sulla mappa e su ognuna delle quali vi era una crocetta nel posto dove secondo la carta era nascosto un tesoro. Fortunato era convinto che se fossimo andati là, scavando nel posto segnato, avremmo trovato il tesoro. "A meno che - dissi io ridendo - le scimmie non lo abbiano già trovato come è avvenuto nella nostra isola."
In ogni caso, di tutte quelle isole non si trovava segno sulle carte. Proprio come l'isola del tesoro che avevamo appena lasciato, quella contraddistinta sulla mappa con le tre montagne. "Ma ci devono pur essere da qualche parte - disse Fortunato - anche la nostra isola non era segnata, ma c'era."
Può darsi che Fortunato avesse ragione, ma come fare a trovarle? Ci voleva un caso fortunato, proprio come quella volta. Se l'avessimo trovata sulla nostra rotta ci saremmo fermati.
Questo promisi a Fortunato. Ma nessuna isola sconosciuta ci apparse all'orizzonte. Poi arrivammo nell'isola dei Caraibi che era la nostra destinazione.

Qui Fortunato decise di rimanere a terra, di non continuare il viaggio con noi. Aveva la sua carta del tesoro con la mappa delle isole sconosciute. Prima o poi le avrebbe trovate.
Cercai di sconsigliare Fortunato, di dirgli che sarebbe stato molto difficile trovare quelle isole che nessuno conosceva. Che ci voleva una fortuna sfacciata per trovarle per caso. Ma lui non ne volle sapere. Gli lasciai allora uno dei miei piccioni viaggiatori in una gabbietta dicendogli di mandarmi un saluto quando avesse finalmente trovato il tesoro.
Da allora non ne ho saputo più niente. Ma nel salutarmi Fortunato mi disse che aveva deciso di cercare il tesoro, di non lasciar perdere, perché si ricordava di un proverbio che suo nonno gli diceva sempre. Ma lasciamo che sia Cocorito ad indovinare di quale proverbio si tratti.

Vi saluto tutti. Ci rivediamo presto. Nonno Lucio.

Sara e Pietro guardarono Cocorito. Questi sembrava non aver capito che il nonno voleva che fosse proprio lui a finire la storia. Sembrava addormentato. Ma era una finta. Quel birbone di Cocorito, finse di svegliarsi, si guardò intorno, rizzò la cresta e poi con la sua voce stridula:

La fortuna va afferrata per i capelli
La fortuna è di chi se la fa
Chi non risica non rosica

"Basta, basta", gridarono Pietro e Sara assieme. "Basta un proverbio solo, uno solo." Cocorito finalmente smise. Tirò dentro il collo, e sembrò dormire.
Per evitare altri scherzi, mamma Susanna tolse lo straccio nero dallo specchio, così Cocorito, svegliandosi e vedendosi nello specchio, non avrebbe ricominciato con la solita solfa, che voleva una storia.
"Adesso, basta", disse a quel punto la nonna. "Adesso Pietro si mette a fare i compiti e Sara viene ad aiutarmi a sparecchiare in cucina."

Ma non era ancora finita. Proprio mentre stavano per uscire dallo studio del nonno si sentì picchiare al vetro della finestra. Era un altro piccione del nonno. Pietro aprì la finestra gridando: "Un'altra lettera del nonno."
Prese il piccione e lo posò sulla scrivania del nonno. Dall'astuccio attorno al collo uscì un piccolo foglietto di carta. La calligrafia non era però quella del nonno. Vi erano scritte a stampatello solo poche righe:

"Caro capitano, finalmente ho trovato il tesoro. Sono ormai un uomo ricco. Se viene da queste parti venga a trovarmi. Suo devotissimo, Fortunato."

"E, no", dissero la nonna e la mamma assieme." Adesso basta, basta con le storie. Via tutti di qua. Lo conosco vostro nonno! Ne sa contare lui di storie."
 
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