Ipertesti
...In effetti, ciò che rende veramente, profondamente "importante" uno scrittore, è il suo "link" ad altri scrittori; in altre parole, quando leggendo Martin Buber tu stai anche leggendo qualcosa di Rabbi Nachman, e leggendo di Rabbi Nachmann è inevitabile che tu stia di fronte a qualcosa del Ba'al Shem Tov... no, non è necessario che l'uno citi l'altro: non è solo trascinando da un luogo letterario a un altro frammenti di pensiero o virtuosismi espressivi che si trasfondono gli autori; ascoltando Beethoven si ascolta inevitabilmente anche un po' di Bach, e molto Haydn; c'è forse da stupirsi?
O forse, appunto, sarebbe meglio cercar di "leggere" in un "senso" più musicale, così da intendere "più" e "altro" di ciò che è scritto.
Forse per questo il Ba'al Shem Tov raccontava le sue storie mille volte, e a tutti sembravano mille storie sempre nuove e diverse. A spiegare questo fatto, il Ba'al Shem Tov ci provava osservando che, là dove le sue storie parevano sempre nuove, era solo perché il "nuovo" era nascosto in loro fin dalla prima volta che esse vennero "dette". "Dette" e non "scritte"? "Dire" è come "dare"; e scrivere... cos'è?
Mosè portò il suo popolo attraverso i quarant'anni di deserto, per dare a tutti loro una legge da conservare e osservare: la legge di un Dio il cui nome non si può "dire". In ebraico, (dove le 22 lettere dell'alfabeto sono solo consonanti, e non si scrivono le vocali) Mosè si scrive con tre lettere: MEM SHIN HE; con le stesse si scrive HE SHIN MEM: ha-Shem, il Nome; con le stesse si proclama quel nome: SHIN MEM HE: Shema! Ascolta Israele! Shema Israel: Adonai Elohenu, Adonai Echad! Ecco allora un uomo che scrive in se stesso, su se stesso, con se stesso, ed è testimone e martire nella "materia" del mondo, sebbene nel luogo più rarefatto: il deserto.
Testimone e martire: in greco sono la stessa parola...
C.R.
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