Alarico
Nel 392, Alarico , della stirpe dei Balti (seconda per nobiltà solo a quella ostrogota degli Amali), diviene capo dei visigoti, succedendo a Fritigerno.
Nel 394 fa parte in qualità di federato del contingente militare inviato da Teodosio contro l'usurpatore Eugenio: la campagna terminerà vittoriosamente (5 settembre 394) con la battaglia sul fiume Frigido (un affluente dell'Isonzo, forse il Vipacco). Non ne otterrà però la promessa carica di magister militum. Anzi: dopo la morte di Teodosio (17 gennaio 395), i visigoti, non ostante l'impegno profuso e le perdite subite, verranno rispediti ai territori nella Mesia inferiore, privati anche dell tributo annuale di cui avevano in precedenza beneficiato.
L'insoddisfazione per il trattamento ricevuto e la disaffezione per la vita da contadini, imposta a coloro che si consideravano (ed erano) fieri guerrieri, spinsero quindi Alarico, quello stesso anno, a rompere il foedus: a capo dei suoi muove verso Costantinopoli, mirando non tanto alla città (imprendibile) quanto ai villaggi indifesi, sparsi nelle campagne circostanti.
Stilicone (ora magister militum per l'occidente), che stava riconducendo in patria le truppe d'oriente vittoriose dopo la battaglia del Frigido, muove contro di lui e sta per scontrarsi a Larissa, quando riceve da Costantinopoli l'ordine di lasciare l'oriente e tornare in Italia.
Alarico può quindi dirigersi verso l'Epiro; passa quindi le Termopili, ove il generale delle truppe imperiali (d'oriente) Geronzio non oppone resistenza, devasta la Beozia e l'Attica. Atene riesce probabilmente a pagare per la propria salvezza; non è così per Megara, Corinto, Argo e Sparta, che vengono saccheggiate.
Nel 397 sbarca in Grecia Stilicone, a capo di un contingente di truppe. Accerchia Alarico a Elice, ma non può attaccarlo per lo scarso controllo che ha sui soldati; ma anche perchè deve partire per fronteggiare la rivolta di Gildone. Torna quindi in Italia, non prima di aver stipulato un trattato con il capo goto che lega quest'ultimo all'occidente, nel caso i disegni di Gildone avessero avuto successo.
I visigoti riprendono le scorrerie in Epiro e l'imperatore d'oriente Arcadio, per ottenere la pace, non può far di meglio che concedere ad Alarico una forte somma ed il titolo di dux e magister militum per l'Illirico (397). Inoltre la regione viene assegnata ai barbari per il loro stanziamento.
Non vi si fermano a lungo: fallito il progetto di crearsi colà un regno indipendente, nel 401 muovono risolutamente verso l'Italia. Sotto la minaccia dei visigoti, rafforzati da contingenti vandali e alani, l'imperatore d'occidente Onorio sollecitamente trasferisce la corte da Milano (che verrà puntualmente assediata) a Ravenna (ma avrebbe addirittura progettato di portarla nelle Gallie!).
Alarico, dopo aver toccato Pavia e Asti, è comunque sconfitto da Stilicone a Pollenzo (402). Il generale romano aveva differito l'intervento, in attesa dei rinforzi provenienti dalla Gallia e dalla Britannia. Il capo barbaro può tuttavia ritirarsi in buon ordine, dopo aver stipulato un trattato che lo impegna sgomberare dall'Italia e a servire con l'esercito d'occidente (costretto in questo anche dal dover trattare la liberzione dellla moglie e dei figli, catturati durante la battaglia).
Alarico non si allontana dai confini della penisola , e l'anno successivo tenta di nuovo l'invasione. Viene ancora una volta battuto da Stilicone (a Verona) e costretto a rinnovare i suoi impegni. Accantona per il momento i suo progetti sull'Italia e ritorna in Epiro.
Scongiurato il pericolo visigoto, non minori problemi vengono ora dagli ostrogoti di Radagaiso nel 405 e dalle popolazioni germaniche stanziate ad est del Reno nel 406. Nel 407 scoppia la crisi per l'insurrezione in Britannia.
Nel 407 Alarico di sua iniziativa lascia l'Epiro (è magister militum per la pars orientis ), risalendo minacciosamente fino al Norico. Manda una ambasceria a Ravenna pretendendo 4.000 libbre d'oro in cambio dei suoi servigi per fronteggiare la crisi nel nord del continente. Stilicone a Roma discute con Onorio e il senato (che non vorrebbe pagare e preferirebbe muovere guerra al goto). Il parere di Stilicone finisce per prevalere e viene stanziata la fortissima somma. Alarico viene dunque mandato contro l'usurpatore Costantino in Gallia.
Stilicone, non ostante le numerose e determinanti imprese compiute al servizio dell'Impero, è vittima degli intrighi e delle invidie della corte di Ravenna e messo a morte (408).
Tanta stupidità non sarebbe rimasta a lungo impunita: Alarico inverte la marcia e si ripresenta in Italia. Attraversa le Venezie, e giunge nelle vicinanze di Ravenna (difesa dalle paludi e dalla ricorrente malaria): esigendo ora, oltre che un tributo annuo, l'insediamento nel Norico e nella Rezia. Giovio, rappresentante del senato romano presso l'imperatore, si spinge ad offrirgli, oltre al resto, la carica di magister utriusque militiae .
Poichè i negoziati non approdano a nulla, Alarico (intendendo compiere un'azione dimostrativa, piuttosto che una vera invasione), muove verso Roma una prima volta.
Giunge all'Urbe, che nel frattempo aveva fortificato le mura. Ce ne informa Zosimo: cinge d'assedio la città, impedendo il rifornimento dei viveri, e costringendo alla carestia prima, e alle epidemie poi (le fonti parlano di peste, ma si trattò più verosimilmente di colera). Invano gli assediati attendono un liberatore da Ravenna. Alla fine, stremati, inviano ambascerie ad Alarico, millantando una reazione del popolo di Roma in armi, se il re goto non se ne fosse andato con i suoi.
Alla fine Alarico, convinto più dal persistere dell'epidemia che dalla bellicosità degli abitanti, toglie l'assedio in cambio di una forte somma e di beni vari (oro e argento, pelli lavorate, vesti di seta, spezie).
Si dirige in Toscana. Dopo aver di nuovo trattato invano con Onorio, obbliga il senato di Roma ad eleggere un anti imperatore nella persona di Attalo Prisco. Con il suo esercito di visigoti e quello romano comandato da Attalo, risale la Penisola ad insidiare direttamente Ravenna. Le ambascerie imperiali sembrano ora disposte a concedere la carica di magister militum ad Alarico, e arrivano ad offrire la coreggenza ad Attalo (il quale risponde da par suo: avrebbe fatto mutilare Onorio, e lo avrebbe confinato su un'isola deserta).
Ma il fatto che Onorio nomini Saro generale (la stessa carica ambita da Alarico), l'attacco dello stesso Saro (quasi a tradimento) al contingente visigoto di Ataulfo, il fallimento dell'impresa africana disposta da Attalo Prisco (che pare voglia ora riaprire i templi pagani), fanno perdere definitivamente la pazienza al re goto: tolta la porpora all'anti imperatore da lui stesso voluto, pone alla fine in atto le sue minacce mettendo al sacco Roma (24 agosto 410).
Alarico e i suo visigoti erano cristiani di confessione ariana: non cattolici quindi, come i romani, ma a loro affini: tanto bastò a porre un freno alla scorreria dei barbari per le vie dell'Urbe: venne impartito l'ordine di non uccidere (quantunque perdite umane ve ne dovettero essere, e ingenti) e di risparmiare i luoghi di culto; il saccheggio, infine, si protrasse per soli tre giorni.
L'impressione tra i contemporanei fu fortissima: mai un barbaro aveva osato ( e potuto) tanto dai tempi di Brenno (che pure non era riscito ad espugnare il Campidoglio). Parte della popolazione, fuggita nelle campagne, non sarebbe più tornata.
Carico di bottino, Alarico lascia la città diretto a sud, portando con sè come ostaggio Galla Placidia, sorella di Onorio. La sua intenzione è quella di invadere l'Africa, ma giunto in Calabria, per la mancanza di imbarcazioni è costretto a a desistere. E' ancora indeciso sul da farsi, quando, improvvisamente ammalatosi, muore.
Verrà seppellito con i suoi tesori nel letto del fiume Busento, in Calabria, e gli schiavi che avevano lavorato per deviarne temporaneamente il corso saranno uccisi, per mantenere segreto il luogo.
Ad Ataulfo, succedutogli, toccherà il compito di riportare i suoi fuori dai confini della Penisola e proseguire poi, attraverso le Gallie, verso altri obbiettivi.