Le Vetrate di Marc Chagall

La sinagoga del medical Center, grazie al genio di Marc Chagall, realizza nel luogo stesso le parole della profezia di Ezechiele (Ez. 48,30-35) che proclamava la santità di elezione di Gerusalemme:

Le porte della città avranno il nome delle tribù d'Israele. Tre porte a settentrione, la porta di Ruben, una: la porta di Giuda, una; la porta di Levi, una. Sul lato dell'Oriente..tre porte:la porta di Giuseppe,una;la porta di Beniamino, una; la porta di Dan, una. Sul lato meridionale tre porte:la porta di Simeone, una; la porta di Issacar, una; la porta di Zabulon, una. Sul lato occidentale..tre porte..la porta di Gad,una;la porta di Aser, una:la porta di Neftali, una.

E il nome della città sarà per sempre: Jahvé è là

Le Vetrate di Marc Chagall nella Sinagoga del centro Medico dell'Università Ebraica Hadassah (Ein Karem-Israele)

Le immagini dellee vetrate di Marc Chagall sono Copy Righted, quindi se volete vederle dovete andare a questo sito....

piantina della Sinagoga

La pianta della sinagoga di Hadassah, con le dodici vetrate disposte a tre a tre, lungo le quattro pareti, riproduce perfettamente la forma e il simbolismo dell'Arca Santa minuziosamente descritta nella Bibbia. (Es.25)

Anche l'orientamento delle pareti, rivolte verso i punti cardinali, rispetta la tradizione della Bibbia.

Marc Chagall per la scelta dei colori ha preso ispirazione dai colori delle pietre preziose di cui era ornato il pettorale del sommo Sacerdote come è descritto in Esodo 28,15.

In occasione dell'inaugurazione del Centro Medico Hadassah (06.02.1962) l'artista si è congedato dalla sua opera definendola:"Il modesto regalo che io offro al popolo Ebraico, a questo popolo che ha sempre sognato l'amore, l'amicizia e la pace fra i popoli".

Le dodici tribù di Israele (Gen. 49,1-28; Dt. 33,6-25)

Parete orientale .......... La tribù di Ruben, la tribù di Simeone, la tribù di Levi.

Parete meridionale..... La tibù di Giuda, la tribù di Zabulon, la tribù di Issacar.

Parete occidentale...... La tribù di Dan, la tribù di Gad, la tribù di Aser.

Parete settentrionale La tribù di Neftali, la tribù di Giuseppe, la tribù di Beniamino.

 

L'insieme delle dodici finestre ad arco,

disposte in gruppi di tre verso i quattro punti cardinali,

altezza cm. 338; larghezza cm.251 ciascuna finestra

 

"Ma la mia arte è forse un'arte insensata, un mercurio fiammeggiante, un'anima azzurra che scaturisce sulle mie tele".

"la vetrata sembra molto semplice: la materia, la luce. Per una cattedrale o una sinagoga lo stesso fenomeno: una realtà mistica che attraversa la finestra"

"La Sinagoga sarà una corona per la "Regina dei giudei" e le finestre saranno i gioielli in tale corona...C'è una luce di cielo in queste finestre e la partecipazione del buon Dio E'".

Marc Chagall

Vetrate di Chagall: dell'origine e del perchè

E' musica nelle vetrate di Chagall, da occidente ad oriente, da un luogo all'altro il medesimo ritmo cromatico assicura alla costruzione il suo empito, il suo respiro in sottili o violente modulazioni. Nel loro accordo, fuoco con acqua, cielo con terra, si realizza l'unione dei contrari.

"Per me una vetrata è una parete trasparente posta fra il mio cuore e il cuore del mondo" ha detto Marc Chagall.

Parete trasparente, la vetrata è infatti innanzitutto questo: una divisione materiale e simbolica fra due spazi, fra due luci, un passaggio obbligato che trasmuta la luce fisica in luce spirituale. E' questa frontiera che lo sguardo trapassa fra lo spazio esterno dell'universo (luogo d'origine del creato) e lo spazio interno del santuario (luogo della celebrazione liturgica). La vetrata non è un quadro inserito in un'architettura, tuttavia è proprio dall'architettura che è definito: è il punto supremo della metamorfosi!

Ai muri delle cattedrali, o di qualsiasi tempio, restituisce sacralità allo spazio originario e sollecita la coscienza all'approccio sensibile con l'Essere Supremo.

La vibrazione cromatica si anima delle variazioni dell'ora che scorre, dall'ombra alla luce la vetrata è per sua natura un fatto religioso, poichè collega l'ordine naturale a quallo soprannaturale; è memoria e annuncio, in quanto propone all'uomo un'immagine diversa di se stesso e i fini ultimi della sua storia.

La parete di vetro che sostiene la figura e il racconto, e verso la quale si leva lo sguardo, offerta alla luce e da questa attraversata, è esattamente la metafora visiva della trascendenza.

Sublimare le forme per mezzo del colore portato alla sua massima potenza e le figura bibliche che tanto hanno animato la sua opera, ecco, questo trova l'artista nella vetrata. (L'arte è missione: l'artista è un profeta, cui compete rivelare un'altra realtà).

 

A Gerusalemme

L'architettura che doveva affrontare marc Chagall aveva uno schema assai semplice.

Situata sul monte Scopus, ad ovest di Gerusalemme, la sinagoga presenta una pianta quadrata sormontata da una lanterna.

Dodici aperture a tutto sesto le danno luce, poste in gruppi di tre sui quattro lati dell'edificio e orientate verso i quattro punti cardinali.

Il problema plastico che si proponeva a Marc Chagall era di natura diversa da quello delle cattedrali (la cattedrale evoca un moto, una deambulazione rettilinea, che è l'approccio visibile al mistero divino, è espressione organica di una concezione teologica dell'universo); la sinagoga, invece, è innanzitutto luogo di riunione. La storia del popolo ebraico è infatti ontologicamente collegata al deserto. Il tempio in cui si adora l'Eterno non è fisso, ma si sposta, e la sinagoga dunque non è necessariamente il luogo esclusivo di una cerimonia liturgica.

Il rapporto con Dio si instaura dunque per mezzo della preghiera comunitaria dell'assemblea di persone che realizzano, in seno all'assemblea, l'elezione.

L'unico imperativo liturgico relativo all'edificazione di una sinagoga è la necessitàò di finestre, collegate al succedersi delle tre preghiere del mattino, del mezzogiorno e della sera, così come sono riferite nel libro di Daniele. (Dn. 6,11)

Nella sinagoga di Hadassah, le dimensioni di ogni apertura, oltre 3 metri di altezza per 2,50 di larghezza, creano uno spazio di apertura di particolare importanza.

La luminosità della terra d'Israele penetra a fiotti nell'interno dello spazio della sinagoga, e le fonti di luce poste ai quattro lati dell'edificio consentono una intima penetrazione della luce nell'architettura. La luce scolpisce lo spazio creando l'illusione del movimento; nell'avvicendarsi delle ore, l'edificio è chiamato a vivere il suo tempo quotidiano che diventa tempo riutale ogni volta che si salmodiano le tre preghiere giornaliere.

L'unità spaziale della sinagoga e la simutaneità del suo impatto visivo richiedevano una concezione unitaria:

Marc Chagall scelse il tema delle dodici tribù d'Israele.

Due testi biblici fondamentali gli forniscono l'ispirazione di prima mano: auello della Genesi e quello del Deuteronomio.

Le vetrate si dispongono come una corona lumnosa al di sopra dello spazio centrale della sinagoga.Raggruppate a tre per tre sulle quattro pareti dell'edificio, sembrano vegliare sopra l'Arca Santa, come fecero le tribù nel deserto.Il loro orientamento verso i quatro punti cardinali assicura l'illuminazione con la luce naturale, secondo il trascorrere delle ore.Qui l'intimo rapporto che lega il valore di un colore e la sua intensità alla superficie e all'intensità di luce che riceve, è mirabilmente padroneggiato da Marc Chagall.

Un testo fondamentale dell'Esodo (38,4-12) fornisce la chiave cromatica e simbolica che egli realizzerà. Ne utilizza, infatti, quella gamma che si accorda ai versetti della Genesi e del Deuteronomio e alla natura della luce.

Prima di morire, Giacobbe, dopo aver benedetto Efraim e Manasse, suoi nipoti, riunisce intorno a sé tutta la famiglia, tutta la sua discendenza. Indi, chiamando ognuno dei suoi dodici figli per nome, li benedice. e con tal gesto Giacobbe li crea antenati eponimi delle Tribù.

Egli chiama per nome svelando a ciascuno il proprio destino individuale. L'apprendimento diventa così profezia, e l'enunciazione del nome l'atto costitutivo del destino collettivo. Così Israele nasce alla sua storia.

La benedizione di Giacobbe va intesa come un vero e proprio rituale di fondazione, rivelando una tipica concezione del pensiero ebraico, che unisce il verbo all'Essere.

Nel Deuteronomio Mosé ripete il gesto di Giacobbe; e le Tribù adempiono la promessa fatta loro, entrando in terra di Canaan. Sentinelle dell'Arca e del verbo di Dio, diventate esse le lettere delle Tavole della Legge, ricevono la Terra promessa e diventano Nazione.

Marc Chagall ha sentito la forza del testo biblico e la sua opera ne ralizza la più splendida delle metafore plastiche e senza venire meno all'interdetto ebraico di rapresentare la figura umana, riesce a rendere l'individualità di ogni tribù.

E per fare ciò si avvale di un vocabolario iconografico tratto dall'infinita dovizia della raffigurazione animalista. Ruben il primogenito è rappresentato dal volo possente degli uccelli; la violenza di Simeone da quella del toro o del destriero in guerra; il leone raffigura Giuda la cui regalità è oltretutto indicata dalla corona; l'asino il tenero Issacar; la vipera la fulminante giustizia di Dan; la cerva, la velocità di Neftali. A questo bestiario si affiancano gli oggetti cerimoniali, specificando la funzione di ogni tribù in seno alla comunità. Possiamo riconoscere nella vetrata di Levi la stella di Davide e le tavole della Legge, che indicano chiaramente la missione sacerdotale dei Leviti; nella vetrata di Aser, la menorah, il candelabro sacro a sette bracci; lo shofar, questo strumento liturgico fatto di un corno di montone, che suona sollennemente per il nuovo anno o per il gran perdono, commemora il sacrificio di Isacco, e onora la preminenza riconosciuta a Giuseppe in seno alla tribù. E le lettere ebraiche, con il nome di ogni tribù stanno iscritte al sommo di ogni vetrata al centro, o la attraversano a guisa di filatterio e così il nome assurge nell'economia della vetrata al rango di elemento plastico.

Gli elemetni figurativi coordinano l'iconografia particolare di ogni vetrata, il colore conferisce all'insieme un irradiare misterioso, una forza evocatrice, una ricchezza simbolica.

La Vetrata: I suoi Problemi e la sua bellezza

Rimane nell’ordine dei misteri quello che guida la maquette verso la sua realizzazione in opera compiuta; la vetrata, per raggiungere la pienezza della sua autonomia, l’ordine del suo linguaggio, ha bisogno di un intermediario.

Il pittore segue il suo sogno nello spazio bidimensionale di un foglio di carta, e Marc Chagall infatti moltiplica i sui primi schizzi; a matita, a penna, nell’immediatezza del segno creatore, egli insegue il ritmo della luce, cerca la collocazione delle figure.

Di conseguenza, l’acquarello o il guazzo indicano i valori cromatici, per mezzo dei quali emergerà la profondità.

La dimensione del supporto, di natura diversa, foglio di carta o cartone, muta; e l’idea generale emerge poco alla volta e organizza lo spazio.

I rapporti interni fra gli spazi vengono contornati con piccoli collage, pezzetti di carta o di stoffa, lo schizzo conduce al disegno, il bozzetto preparatorio più elaborato sfocia nella maquette definitiva, il più spesso a guazzo, completata talvolta da collages, che in certi casi riprendono le forme preesistenti.

Le vetrate di Gerusalemme hanno richiesto un lavoro intenso e l’abbondanza dei disegni preparatori, testimonia della forza creatrice di Marc Chagall, il quale, talvolta è soddisfatto alla prima stesura, ma in un caso o nell’altro è il mastro vetraio che deve rispettare e rendere la spontaneità del gesto creatore o della complessità di un messaggio plastico più elaborato.

Questo si accompagna ad un lavoro specializzato di grande rigore, nel quale tutti i passaggi richiedono un attenta precisione.

Procedimento

Si comincia con una fotografia in bianco e nero della maquette che sarà ingrandita fino alla grandezza naturale della futura vetrata.

Sopra questo ingrandimento il vetraio appoggia un calco, sulla base del quale si esegue il cartone; questa fase iniziale è quella preparatoria per stabilire gli spazi.

A questa segue sul cartone il primo disegno dei piombi, le indicazioni dei colori e quelle dell’incisione.

Il cartone diventa così il vero "conduttore" dell’opera a grandezza naturale.

Tutto deve esservi tracciato minuziosamente poiché esso sarà la guida della parte esecutiva.

Il riporto il scala del cartone su carta permetterà il taglio dei vetri, che una volta sagomati riceveranno a loro volta il bozzetto dell’incisione.

Il mastro vetraio e i suoi collaboratori studiano poi su di un piano trasparente il primo stadio dell’incisione prima di procedere con una messa a piombo provvisoria.

A questo punto la vetrata viene drizzata alla luce del giorno nello studio del pittore, che può così intervenire.

Momento questo particolarmente esaltante di questo primo controllo del progetto, e della prima realizzazione del mastro vetraio. Nel progetto che diventerà cosa sua, la vetrata già esiste come realizzazione tecnica; ma è necessario che si realizzi anche sul piano plastico.

Con la scelta dei vetri, con il disegno dei piombi con l’equilibrio delle tinte, il maestro vetraio crea e propone al pittore un nuovo supporto alla sua invenzione.

"Tutto il nostro lavoro, con Marc Chagall, consisteva in questo sforzo comune di inventare ad ogni istante, di non essere mai traduttori" (Charles Marq, mastro vetraio)

Nel lavoro di laboratorio si stabilisce un’intima comunicazione fra artista e artigiano, a testimonianza di un mestiere comune, di cui la tecnica altro non è che un’espressione artistica, cui ultima verifica si esprime sempre nell’indagine sulla materia, per infonderle nuova vita.

Alla maquette, che è la prima proposta del pittore, corrisponde questo primo assemblaggio di piombi e vetri, vero scheletro della vetrata.

La ricchezza e la profondità cromatica del colore di Marc Chagall era difficile da realizzare su vetro; ed è merito di Charles Marq e di Brigitte Simon l’aver saputo trasportare su vetro la pittura di Marc Chagall.

Charles Marq riprese la tradizione medioevale del vetro placcato, sviluppandone le potenzialità espressive.

Giustapponendo al vetro incolore o a quello colorato una lastra dello stesso colore o di un tono differente, suscettibile di essere asportata per mezzo dell’acido, si otteneva una gamma cromatica e tonale infinitamente vasta.

Il vetro veniva trattato come una superficie pittorica

Marc Chagall poté così lavorare con una tavolozza, modificando il colore alla sua libertà creativa. La superficie del vetro richiede lo sbocciare delle figure; con accenti nervosi, rapidi, con tratti graffianti come incisioni sulla lastra di rame, con tocchi delicati, Marc Chagall pone la grisaille (smalto più o meno denso posato a spazzola o pennello).

"E in questo incessante va e vieni la vetrata si anima e trova poco per volta la sua forma. Non esiste né soggetto, né tecnica, né sentimento e neppure sensibilità, ma solo un misterioso rapporto fra l’occhio e la luce, fra la grisaille e le mano, fra lo spazio e il tempo, sia biologico sia molecolare, che si esprime in ritmo, colore, proporzione. E quando pare che il vetro abbia avuto la giusta misura di grisaille, la sua esatta chiarezza vitale, la mano si ferma come trattenuta da un’altra mano. Ma ogni segno su cui non sia sceso tutto il sangue del pittore si spegne, appassisce si dissolve, si cancella."

Charles Marq

Il carattere misterioso della vetrata si misura nella complessità della sua elaborazione, ma anche nell’alchimia del rapporto personale che si instaura in un laboratorio.

Occorre infatti al mastro vetraio non solo una conoscenza tecnica, ma soprattutto un’intuizione divinatoria dell’opera che sta per nascere, per fare sua la visione del pittore, e per proporre alla sua immaginazione la prima concretizzazione del suo sogno.

Espressione della verticalità, la vetrata è debitrice solo verso il maestro vetraio della forza tellurica e nera dei piombi che la innalzano verso la luce.

E l’eccezionale bellezza delle vetrate di Marc Chagall dipende anche da questa segreta struttura.

Consistente in colore vetrificabile, permette il disegno a tratto oppure effetti di lavis. La sua origine risale al XII secolo; se ne parla nel De diversis Artibus del monaco tedesco Teofilo, che è il più antico trattato conosciuto sulla vetrata.

La vetrata dunque nasce da una metamorfosi legata a un mutamento di proporzioni, e per esistere in quanto tale ha bisogno di un’intelligenza tecnica che proietti nello spazio la maquette dell’artista, e di una sensibilità che renda giustizia alla sua ricchezza cromatica.

Tuttavia occorre che la maquette abbia in se stessa la forza essenziale che si dispiegherà nella vetrata.

La maquette è opera che viene definita da tutta un’evoluzione plastica, nella quaela la monumentalità appare, in Marc Chagall, insita nel divenire stesso dell’opera pittorica. Pittura che rifiuta qualsiasi materialità, pittura - danza, pittura – libertà che persegue il sogno di un mondo aereo libero da qualsiasi peso.

Miniguidaveloce delle Vetrate

 

un grazie speciale a Graziella che ha preparato quanto sopra lo scorso anno (1999)

La musica è:

Sevivon sov-sov-sov

canto per la festa di Hanukkah