«Sono
anch'io nella catena dei narratori, anello fra gli anelli, e
ridico ancora
la vecchia storia; se essa suona ancora come fosse nuova, è perché
il nuovo dormiva in lei fin da quando fu detta la prima volta.»
(Martin
Buber, «La leggenda del Baal Shem»; trad. di Dante
Lattes e M. Belinson, Roma s.d.)
«C'era
una volta... - un re! - diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi,
avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno...»
(Carlo
Collodi, Pinocchio, ed. Bemporad, Firenze 1930)
«I
bambini, quanto a storie, sono abbastanza a lungo conservatori.
Le vogliono
riascoltare con le stesse parole della prima volta, per il piacere di riconoscerle,
di impararle da cima a fondo nella giusta sequenza, di riprovare le emozioni del
primo incontro, nello stesso ordine: sorpresa,paura, gratificazione.»
(Gianni
Rodari, «Grammatica della fantasia», Einaudi 1973,
cap.16)
«Come
in ineffabile armonia
Quel divino
Ternario in un s'unisca,
E come
nostr'anima fruisca
Quel bene
eterno in somma Melodia» (P. Colonna in Kircher,
Misurgia Universalis, Roma 1650. Canzone dedic., paragrafo "Cantano i cieli")
«Papà?...
Cos'è la trinità?»
«È
come il motorino elettrico dentro al tuo trenino; guarda... vedi? Ci sono
tre superfici separate da questo cilindro che è come una ruota,
e fa muovere tutte le ruote sui loro binari; ognuna di queste superfici è
una calamita, ed
è attratta o respinta dalle superfici del cilindro che
le contiene.
Se le superfici fossero solo una dualità, cioè
due, subito
la ruota si metterebbe nella sua posizione definitiva, e non si muoverebbe più.
Così, vedi, una trinità, cioè un tre, fa sì che
nel mondo tutto si muova.»
«Anche
i treni veri?...»
«No...
cioè sì... perché?»
«Papà?... ma... allora,
ma perché i treni veri non vanno sui trenari?»
«Gli
illustrai per
filo e per segno quello che io intendevo far comunicare al suo personaggio nel mio
film; lui ascoltò pazientemente, e poi, cortesemente, quando vide
che avevo finito, mi guardò
e disse "caro dottore... vorrei che voi mi diceste una sola
cosa: questo
vostro personaggio,
«[...] non siamo più
autori di nessuna opera [...] non si può più dare opera d'arte, si può solo più
essere opera d'arte [...] bisogna disfarsi
degli autori, e farsi, semmai, "visitare" da chi li ha visitati [...]
il significato è un sassoin bocca del significante [...] siamo in balia di una selva di significanti -tanti e chissà
quali- che non possiamo tirartli in campo, perché, appunto, non sono
dei significati. [...] la lettura va frequentata come oblìo, come
non ricordo della pagina scritta, affinché sorta la differenza
dal testo [...] l'uso e l'abuso dell'amplificazione ha interdetto la comunicazione,
sì da precipitarmi da un "dentro", da un interno, in un altro interno [...] del suono resta
l'alone, la risonanza [...] l'atto coincidendo col suo immediato svanire...»
(Carmelo
Bene, al "Maurizio Costanzo Show", Canale 5, novembre
1995)
«Le
decorazioni destinate a rappresentare la natura,
devono mostrarsi
ai nostri occhi delle imitazioni, e non le cose stesse.»
(J.
Addison, in "The Spectator", Londra, 6 marzo 1711)
«These
fragments I have shored against my ruins» "Con questi
frammenti ho puntellato le mie rovine"
(T. S. Eliot,
«The Waste Land», "La terra desolata",
Londra, 1936)
«I could like, said
my mother, to look through the keyhole out of curiosity
-Call it by its right name, my dear, quoth my father- And look
through the keyhole
as long as
you will»
as you
will
(Laurence
Sterne, "The Life and Opinions of Tristram Shandy, Gentleman",
vol. VIII, Londra 1761.)
other texts in English?
«Ventidue lettere fondamentali: Egli le ha scolpite, le ha forgiate,
le ha pesate, le ha alternate, le ha purificate e con esse ha formato
l'anima dell'intera creazione e l'anima di tutto ciò che è
destinato ad essere creato. [...]E ha creato il suo mondo con tre forme
di espressione: con il numero,
con la lettera e con la parola.»
(Sefer Yezirah, Il libro
della Creazione; Cap. II, p. 48; trad. di Gadiel Toaff; ed. Carucci,
Roma 1988.)
«La Sapienza, la sefirah Hokmah, è l'ordine e l'armonia, che
non ha materia, giacché
essa stessa è il tessuto della manifestazione. Se
dobbiamo immaginarla, la riempiremo solo di suoni, del tintinnare delle parole, del ritmo delle frasi, di consonanze, di equilibrio senza alcuna costrizione fisica.»
(Giulio
Busi, ebraista; da una lettera a C. Ronco, Venezia, 19 settembre 1996)